AS Roma

Angeliño, la nostra formica atomica

Non stiamo parlando di un fuoriclasse, ma di un calciatore umile, che conosce la “garra”, che in Sudamerica fa rima con grinta e spirito combattivo

(GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Mauro De Cesare
20 Gennaio 2025 - 07:00

Angeliño. Di nome e di fatto. Perché all’anagrafe è José Ángel Esmorís Tasende, meglio noto come Angeliño e perché gli almanacchi dicono: altezza cm. 170, facendogli forse un regalo di un paio di centimetri. A 16 anni è già nel Manchester City, per lui si aprono percorsi luminosi, palcoscenici da prima stella e “red carpet”, la striscia di tappeto rosso sul quale sfilano celebrità e vip. E il 2 dicembre 2014, viene convocato per la
prima volta in prima squadra, rimanendo però in panchina in una partita di Premier League giocata contro il Sunderland. Non ha ancora compiuto 18 anni. Ma, come per quasi tutti i giovani promettenti, c’è una gavetta alla quale pagare dazio.

Inizia il suo peregrinare in tanti campionati, in tante squadre: Spagna, Olanda, Germania, States, Turchia. Con i consueti viaggi di andata e ritorno, sempre poco convincenti. A gennaio dello scorso anno la Roma bussa alla porta del Galatasaray: serve un esterno sinistro che, all’occorrenza, possa dare una mano. E Angeliño aiuta la Roma più di quanto ci aspettasse: 20 presenze totali fino al termine della stagione. Complici le difficoltà economiche della società, non finisce dietro le quinte: è un titolare.

Di fascia e di piede sinistro, educato, che fa di Angelino un intoccabile. Viene addirittura, colpevolmente, utilizzato come difensore in una difesa a tre. Claudio Ranieri, non appena arrivato per rivitalizzare la Roma, in una delle sue prime interviste, strappa una risata generale quando giura: «No, Angeliño non giocherà più in quel ruolo».

Prime pagine e decine di articoli prendono come soggetto quasi tutti, in casa giallorossa. Poco o niente per Angeliño. Invece lo spagnolo sta disputando una stagione con i fiocchi. Copre la fascia sinistra dalla nostra area di rigore fino alla linea di fondo del campo avversario, corre per 90 minuti più recupero senza fermarsi, è reattivo, veloce, salta l’uomo, è corretto e non accende polemiche, sa cosa significhi sorridere, ha muscoli d’acciaio e, nonostante non sia un difensore per natura, conosce bene l’arte della diagonale: è un giocatore da Roma.

Il secondo gol giallorosso segnato al Genoa parte da un suo fulminante affondo, salta l’uomo, serve Dybala con precisione millimetrica, che scarica su ElSha: gol. Chiariamo bene. Non stiamo parlando di un fuoriclasse, ma di un calciatore umile, che conosce la “garra”, che in Sudamerica fa rima con grinta e spirito combattivo. Il presidente di quella Roma che a tutti faceva paura, era Dino Viola. Una delle sue frasi celebri: «Un giocatore non deve essere mai divinizzato, di chiunque si tratti. Quella che tiene il sudore è la maglia». Vero. Quella della nostra “formica atomica”, dopo i 90 più recupero, deve essere addirittura strizzata.

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