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È solamente amore: la recensione di Fabrizio Pastore a "Il grande romanzo della Roma" di Tonino Cagnucci

È la storia di un’emozione che non trova fine. Non convenzionale, passionale, ribelle: l’autobiografia di un popolo che ha trasformato un sogno in realtà

PUBBLICATO DA Fabrizio Pastore
02 Dicembre 2024 - 07:30

Prendete una storia. La migliore che si possa immaginare. La più bella e ricca di emozioni, perché parla di noi stessi, dei padri, dei figli. Dell’amore. Mettetevi comodi. Gustate ogni momento, come fosse il pasto più agognato. “Il grande romanzo della Roma” (edito da Newton Compton) vi guiderà in un vero e proprio percorso sensoriale grazie alla straordinaria penna di Tonino Cagnucci. Più poesia che prosa. Leggetelo, fatevi posto dentro e fatevi attraversare. Troverà il giusto spazio da sola questa meravigliosa storia d’amore, senza farsi largo sbracciando, ma scivolando lungo la schiena come il più dolce dei brividi. 

Un affresco della storia della Roma che inizia molto tempo prima dalla data che abbiamo tatuato sul cuore. «La Roma prima della Roma», per dirla con l’autore, che restituisce la sovrapposizione fra città e squadra, confinando ogni maldestro tentativo di revisionismo in un angolo lontano. Dalla verità, dall’Urbe, da noi. La distorsione temporale è già nell’incipit del libro, che parte da Ornella Lalli, figlia e nipote dei fratelli sordomuti che hanno creato «il primo striscione della nostra vita»: Viva la Roma Campione d’Italia, il 14 giugno 1942. C’è già tutto: il senso di famiglia, l’emozione nel solo modo in cui poteva essere comunicata, l’eco che parte da lì e porterà al titolo del Corriere dello Sport all’indomani del secondo Scudetto, «Un urlo: Roma!», l’enorme disegno del Tricolore nel 2001 realizzato proprio da Francesco Lalli ai Colli Albani, due passi dal Motovelodromo Appio, la prima tana della Roma.

In questo continuo ramificarsi e riannodarsi si dipana il racconto, in un susseguirsi di andirivieni per le strade della Città Eterna. Come in un film. Dai rioni e dai quartieri, Testaccio in primis (casa e causa), che fungono da scenario alle gesta di padri fondatori testardi e ardenti, calciatori viziosi e passionali, popolo, aristocratici e perfino preti. A tutti gli elementi che hanno dato vita a un sogno prima che a una squadra. I tifosi già c’erano. La Roma è l’unica realtà il cui popolo è nato prima della squadra, l’ha percepita e desiderata e sognata fino a farla diventare realtà. 

È un libro autobiografico, della Roma e dei suoi tifosi. Le emozioni, i sentimenti espressi rappresentano non solo la squadra, ma tutta la sua gente. La sua essenza. Un romanzo che non narra la storia della Roma, ma la fa scivolare attraverso ricordi, immagini, aneddoti, esultanze, sconfitte, citazioni di De André e De Gregori, dei Pink Floyd, frasi dei protagonisti da tramandare per mille anni. Da Falcao che è «il più grande pensatore del Novecento insieme con Pasolini», al Primo Capitano Ferraris IV, a Carpi che ha giocato gratis per la Roma, a Bernardini che ha pagato per andarsene via da quegli altri e raggiungere la dimora sua per sempre; dai romani acquisiti Masetti e Losi alla vicenda straziante di Taccola; dalla grandezza sconfinata di Rocca e Conti e Totti e De Rossi, alla delicatezza con la quale viene raccontato Agostino, le pagine scorrono (anche grazie alle splendide illustrazioni di Fabio “Hot Stuff” Redaelli) sull’onda di una delle più belle coreografie di sempre della Sud. Figli di Roma, Capitani e Bandiere. E il petto si gonfia d’orgoglio.

Un romanzo d’amore travestito da storia della Roma, da leggere come un urlo rauco, punk, non convenzionale, ribelle e passionale. Ultras. O Ultrà, come Tonino, che quella Curva l’ha vissuta e le rende omaggio senza bisogno di sviolinate. Come sanno fare soltanto gli innamorati veri.
Alla fine permettetemi una prima persona poco giornalistica, ma necessaria. L’ho letto in una giornata, seduto sull’orlo di un divano, tra mille caffè e sigarette, a voce alta, come se dovessi raccontare una favola della buonanotte a un bambino. Leggevo tenendo il cucchiaino in mano,  sorridendo ed empatizzando con Tonino per ogni suo «giocatore preferito» (capirete perché soltanto col libro in mano), facendomi trasportare dalle storie e dall’amore delle parole. 

L’ho letto ora, in uno dei periodi più difficili degli ultimi anni per la Roma, dove spesso i fatti e le parole vestono una taglia sbagliata. Questo però è un testo che sfancula ogni dubbio, ogni tristezza, ogni incazzatura e reinventa e rinvigorisce il senso del romanismo. In caso servisse. Ma non ve lo fate raccontare da chi lo ha divorato. Leggetelo e gustatelo. Sarà nutrimento per l’anima. 

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