AS Roma

De Rossi: "Totti aveva un'aura e un carisma senza eguali"

L'ex tecnico giallorosso: "Importante sentirsi rappresentati, gli allenatori possono farlo in modo egregio anche in squadre in cui sono lì solo perché pagati"

PUBBLICATO DA La Redazione
27 Novembre 2024 - 11:42

Questa mattina si è tenuto al MAXXI Museo Nazionale delle arti di Roma, un evento di RCS Academy: lo Sport Industry Talk. Nel corso dell'evento ha parlato Daniele De Rossi, intervistato da Walter Veltroni. Ecco le dichiarazioni del tecnico giallorosso: 

Se tu fossi lo Zar del calcio mondiale, ti vengono in mente delle regole da introdurre per rendere il calcio ancora più spettacolare? 

"Tendo a non sparare un proposito così perché non ho i mezzi per farlo, ma penso dipenda anche da noi calciatori e allenatori. Essendo un mondo così tanto popolare, tutti gli interessi comuni sono tirati dal tifo, così funziona il calcio. Siamo attratti dallo spettacolo, ma anche dal tornaconto che è economico per un dirigente e sportivo per un tifoso".

"Il calcio è semplice ma giocare semplice è difficile".

"Spalletti la chiamava normalità quando ci chiedeva un atteggiamento tattico in campo. Viene sottovalutata a volte ma risulta tanto difficile giocare semplice. La normalità è sottovalutata al giorno d’oggi, è difficile giocare semplice. Mi viene da citare Rodri che ha vinto il pallone d’oro, lui gioca semplice ma farlo come fa lui prevede mille pensieri quando non viene inquadrato. Richiede mille pensieri, fare cose semplici avvicina tanto la gente ma è difficile. Le cose semplici sono sempre sottovalutate, lo penso in ogni ambito, non solo quello calcistico".

Il calcio di pura velocità e forza atrofizza l'allegria, ti sembra ci sia troppa fatica e poco incitamento al talento? 

"Può essere stato per il diffondersi di tante squadre che giocano a livello alto come il Barcellona. Io alleno i grandi ma da questo punto di vista chi allena i piccoli ha una responsabilità maggiore, sia nella costruzione del loro carattere ma anche nello sviluppo tecnico. Tutti gli allenatori vogliono emulare chi sembra geniale come Guardiola, questo però toglie il pallone dai piedi dei ragazzini per fare un’ora di tattica. Se ai ragazzini levi la palla dai piedi per fargli fare un’ora di tattica, di schemi non va bene. Il ragazzino deve dribblare, difendere, perché altrimenti il talento si atrofizza. D'ora in poi la velocità unita al talento sarà sempre più abitudine".

I giocatori che rimangono tanti anni nella stessa squadra tolgono un po’ di fascino al calcio? 

"Per chi tifa avere qualcuno in cui rivedersi e sentirsi rappresentati significa molto. Ci sono anche casi diversi in cui allenatori possono rappresentare in maniera egregia anche squadre in cui sono lì solo perché pagati. Idem per i giocatori, possono anche avere tentazioni durante la carriera o stancarsi, può succedere a tutti. Poi alla fine rimani perché ti lega il sentimento".

Solo la vittoria rende felici nello sport?

"La vittoria rende belli, forti. Prendiamo Gasperini, è incredibile ciò che ha fatto: ha cambiato la vita a un club che ballava tra la Serie A e Serie B, ora sono di prima fascia. Lui l'ha ribadito che adesso è più affascinante dopo aver vinto l'Europa League. A volte le finali le perdi per un rigore, per un episodio, e non cambia nulla, ora la gente se deve criticarlo fa un passo indietro prima di azzardarsi. Come con Spalletti dopo aver vinto con il Napoli. Il percorso è la cosa più affascinante, molto più della vittoria. È quello che io ricordo maggiormente, non ho vinto moltissimo nella mia carriera, mi viene in mente il Mondiale del 2006, ma non ci penso con più affetto rispetto a qualche finale persa ad esempio".

Il giocatore più affascinante con cui hai giocato e l'avversario più difficile che hai affrontato?

"Più forte e affascinante è Totti, lui era affascinante per noi che giocavamo con lui. Aveva questa aura e carisma, a volte silenzioso, perché negli spogliatoi era uno di quelli che parlava di meno. Ma in campo parlava con i gesti, ti aiutava sempre. Totti l'ho vissuto anche da tifoso per la prima parte. Da avversario mi affascinava Zidane, che in campo era proprio bello da vedere sia fisicamente che tatticamente. Avversario più difficile forse Seedorf, aveva tutto. Era indifendibile se stava in giornata, mi ha preso nella prima fase della mia carriera e mi ha fatto venire qualche linea di febbre la sera (ride,ndr)". 

Cosa serve ad un allenatore?

"Potremmo parlare della conoscenza calcistica. A me sta aiutando anche una cosa, come quando da calciatore ero molto altruista e a me piaceva aiutare i compagni in campo.L' altruismo in uno spogliatoio è importante. Devi usare le chiavi giuste con ognuno dei giocatori per poter dire loro 'siete voi più importanti di me'". Così ho fatto durante la mia prima esperienza in Serie B, nella mia seconda esperienza nello spogliatoio sono entrato come ex capitano, per alcuni di loro ero un amico. Devi cercare di dargli spazio ma non troppo, devi saper leggere chi hai intorno. Anche lo staff. Devi saper accompagnare i giocatori nei loro umori, momenti e spazi, nei rapporti che hanno con i compagni. Ovviamente senza conoscenza calcistica non vai da nessuna parte. Senza ti battezzano come uno da non ascoltare. Invece aiutarli e spesso fare un passo indietro a loro favore è fondamentale".

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