Il romanzo di un’idea
Esce domani l’ultimo lavoro di Tonino Cagnucci con la prefazione di Valerio Mastandrea. Una storia che parla di Keats e Anna Magnani, Tirana, Budapest e di chi non vuole essere Agostino
Non poteva esserci un titolo migliore, per l’ultimo libro di Tonino Cagnucci. “Il grande romanzo della Roma” che esce domani in ogni libreria (Newton Compton, 256 pagine, 14.90 euro). E non poteva esserci un momento più adatto, cioè con la Roma non certo nelle posizioni di classifica in cui dovrebbe sempre stare, per leggerlo. Perché la Roma non è un risultato, ma un romanzo aristocratico e popolare che fa parte di noi non solo dal momento in cui ognuno di noi ha memoria da tifoso, ma da prima. In ogni tifoso romanista c’è tutto ciò che è accaduto dal 1927 e soprattutto di come è stato vissuto.
Di questo parla il romanzo, tutt’altro che romanzato, perché ripercorre la storia della Roma mettendo sempre l’accento su ciò che conta veramente. Non è enciclopedico, ma si percepisce chiaramente la grande capacità dell’autore, la cui conoscenza della storia della Roma è, quella sì, enciclopedica, di essersi saputo concentrare sui fatti e personaggi più importanti a livello identitario oltre che sportivo, sui sentimenti, che squadra e tifosi hanno sempre saputo trasmettersi reciprocamente, anche senza bisogno di tante parole. “Viva la Roma campione d’Italia”. Basta questo, cioè lo stendardo esposto nel giorno del primo scudetto dai fratelli Lalli, sordomuti.
È un urlo, la Roma. Come titolerà il Corriere dello Sport 41 anni dopo, l’8 maggio 1983 a Genova, nel giorno del secondo scudetto. E quell’urlo “è vostro”, come urlò Francesco Totti il 17 giugno 2001 dopo il gol contro il Parma. Ma non sono “solo” i tre scudetti ad essere legati da un unico filo conduttore, ma tutta la storia della Roma lo è. Ed è proprio questa la rivelazione che contiene il libro. E cioè che pur nella diversità delle epoche, dei risultati, dei personaggi che si sono succeduti nel tempo, in realtà il protagonista è sempre e solo uno: il sentimento romanista. Perché se i fratelli Lalli fossero nati quarant’anni dopo magari avrebbero partecipato all’ideazione del “Ti Amo”, se Francesco Totti e Daniele De Rossi fossero nati settant’anni prima sarebbero stati Fulvio Bernardini e Attilio Ferraris, e probabilmente chi si arrampicava sul Monte dei Cocci per vedere la Roma lo ha fatto anche sulla collina di Monte Mario per vederla dalla statua della Madonnina. E così i gol di Pruzzo sono gli stessi di Volk, le lacrime per Forlivesi sono le stesse per Taccola, il guardalinee Sancini è Anthony Taylor.
E’ la penna di Cagnucci che ce lo mostra chiaramente, facendo rivivere ogni attimo della storia romanista con la stessa intensità e sapendo trovare a ogni situazione la giusta chiave di lettura. Cerca la risposta al “Dimmi cos’è” di Antonello Venditti, e con una certa sorpresa ci fa scoprire che lui non sognava di “essere Agostino” come Marco Conidi, ma... ci sarà modo di scoprirlo. Così facendo dimostra che l’amore per la Roma non è mai eccessivo, non è mai ciò che ti porta a pensare di fischiare i giocatori durante la partita o a dimetterti da tifoso. Tutt’altro. E’ ciò che, se lo lasci libero di esprimersi, ti fa leggere con gli occhi giusto il passato, il presente e il futuro. E’ ciò che ti lascia questo libro, oltre al gusto della lettura e al piacere di vivere il racconto. Ti lascia un tracciato da seguire per sempre. Per questo il grande romanzo della Roma, che esce nel 2024, va letto, conservato, e un giorno riletto. Perché non nasce nel 1927 e non finisce adesso. Né mai, come la Roma.
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