Ora l'audio di Ndicka
Un momento delicato e pieno di spaccature in seno alla classe arbitrale. Il calcio piange. Dalle difformità di giudizi in campo alla chiusura comunicativa fuori. E parte la nostra campagna
Perché non far sentire l’audio della conversazione tra arbitro e Var di Verona-Roma? Se l’è chiesto Gian Paolo Calvarese ieri sulle colonne di Tuttosport, analizzando non solamente l’episodio che ha coinvolto Svilar e Ndicka sul gol di Magnani nella gara del Bentegodi di due domeniche fa.
Ecco, lo chiariamo subito, ne scriveremo tutti i giorni d’ora in poi. Fino a che, come minimo, qualcuno non ci darà una risposta. Credibile, possibilmente. E come massimo finché non ce lo farà ascoltare. Lo spunto è semplice. Viviamo un momento storico non facile per l’organizzazione arbitrale, perché dall’introduzione del Var, con le conseguenti modifiche in corsa non solo degli aspetti della tecnologia, ma anche di dettagli del regolamento e delle norme di attuazione, ciò che regna intorno ai fischietti che poi contribuiscono a determinare con le loro decisioni i destini (anche economici) delle società è la confusione. Di questa confusione l’ultimo a parlarne, come un grido di aiuto da chi ne ha fatto parte e con passione tutti i giorni ne parla sui suoi social, è stato proprio l’ex arbitro Calvarese, comprensibilmente infastidito dal polverone che da diverse stagioni e sempre crescente ha investito la categoria di cui è stato un orgoglioso rappresentante.
Mancanza di uniformità. Parola d’ordine e grande male della classe arbitrale, che sarebbe causato da una schematicità e da una standardizzazione a discapito dell’attenzione al dettaglio che fa la differenza sul campo. «Gli arbitri italiani non sono scarsi, ma impreparati». Non eravamo preparati a questa verità di “Calva”, comunque verosimile. Ma ce ne eravamo accorti. Il motivo sarebbe la mancanza di formazione, decisamente inaccettabile per una Serie A degna di questo nome.
Tra le varie confusioni vi è senz’altro la comunicazione: lo sosteniamo da un po’. Aprirsi con Open Var su Dazn è stato davvero aprirsi? Se si nascondono i casi che scottano e si litiga con le redazioni giornalistiche che ne chiedono conto dov’è lo scopo didattico? Se invece non c’è nulla da nascondere, come tutti crediamo, basta non nasconderlo, oppure la credibilità va a farsi benedire. E si ingenerano gratuitamente veleni.
Chiediamo trasparenza e vogliamo spiegazioni sul caso di Verona-Roma, ma non ci accaniamo in questa sede con gli arbitri che si sono “accaniti” con i loro errori sull’agonizzante Roma. Parliamo del calcio italiano. Domenica sera si è visto Conte (lui l’ha fatto con il suo accento ma in italiano e non in francese e se ne sta ancora parlando) scagliarsi contro il Var e il suo utilizzo: «Era da un po’ che ce l’avevo dentro...». Abbiamo sentito il ds della Lazio Fabiani tuonare con veemenza dopo un paio di episodi dubbi (e stare in silenzio dopo quelli dubbi a favore). Da impreparati, poi, si passa a impauriti. Se non addirittura condizionati.
D’altronde il momento è pessimo, se è passata in sordina l’inchiesta delle Iene di qualche mese fa sulle lotte intestine e politiche interne all’Aia, con parrocchie di arbitri mandati o non mandati al Var in base a una cinica “conta” dei voti. È un momento di grandi spaccature. Anche in questo contesto si inserisce la candidatura a presidente dell’Aia di Alfredo Trentalange (assente dalle scene dopo le dimissioni - e l’assoluzione - a seguito dello scandalo legato all’arresto del procuratore arbitrale nazionale Rosario D’Onofrio per traffico internazionale di droga) che presenterà in mattinata all’Università eCampus di Roma il suo programma sull’autonomia economica, finanziaria e politica dell’associazione.
È un momento di passaggio e per ora ne fa discrete spese il nostro calcio. Che speriamo si svegli. E anche se l’Italia è un Paese anomalo per tante cose, forse, dopo il caso che ha coinvolto la Premier League con l’arbitro Coote che si è scagliato contro Klopp e il Liverpool, possiamo consolarci con il detto che tutto il mondo è paese.
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