La catastrofe preannunciata: i 53 giorni di Juric alla Roma
Dall'arrivo il 18 settembre all'addio, in silenzio, di ieri: la breve parentesi di Ivan sulla panchina romanista, con 12 partite e solo 4 vittorie
La catastrofe preannunciata. Dopo l'ennesima sconfitta stagionale, con un Bologna piuttosto normale che si è liberato della Roma per 3 a 2, i Friedkin hanno emesso la loro sentenza, sollevando Juric dall'incarico. L'esonero (il terzo da gennaio ad oggi, dopo quelli di Mourinho e De Rossi) è stato solo l'ultimo capitolo di una storia nata male e già scritta, che ha vissuto di pochissimi alti e parecchi bassi. Un'avventura durata soltanto 53 giorni, con in mezzo 12 partite, 4 vittorie, qualche lite intestina, la solita solitudine e alcune dichiarazioni confuse. Ripercorriamo le tappe principali.
18 settembre, l'inizio - A due giorni dal pareggio di Marassi contro il Genoa e dopo soltanto quattro giornate di campionato, Daniele De Rossi viene convocato in presidenza da Dan e Ryan Friedkin, che gli comunicano il suo esonero. Per sostituirlo vengono vagliati diversi profili, tra cui quello di Terzic (nome sondato all'epoca e tornato in auge in queste ore). Si prova un tentativo in extremis con Pioli, che però è praticamente con la valigia pronta per decollare in Arabia Saudita e approdare sulla panchina dell'Al-Nassr. Alla fine viene scelta la terza via, quella che conduce a Ivan Juric che, grazie anche agli ottimi rapporti intessuti col suo procuratore Giuseppe Riso, accetta il contratto fino a giugno.
Addio a Lina, tris all'Udinese - Passano soltanto 4 giorni e la Roma è pronta a tornare in campo, per la prima dell'era Juric contro l'Udinese. Le ore che precedono il fischio d'inizio sono condizionate da un altro scossone in società: le dimissioni di Lina Souloukou. I racconti sulla fine del rapporto con l'ex CEO greca sono vari, ma pare chiaro che dietro al suo addio ci sia la volontà da parte di Friedkin di interrompere il rapporto di lavoro. Così, poche ore dopo essere arrivato a Trigoria, Ivan Juric si trova senza la principale figura dirigenziale che ne aveva voluto l'ingaggio. La stessa figura, Lina, che aveva avuto più di un contrasto con De Rossi. Insomma, il cambio in panchina appare già delegittimato. La Roma comunque scende in campo, in un Olimpico spettrale, con la Sud fuori per la prima mezz'ora in segno di protesta. Il campo dà ragione a Juric che si sbarazza dell'Udinese con un secco 3 a 0 e il successo all'esordio. La prima vittoria di quattro.
Le bestie di Ivan - Passano alcune settimane e, dopo aver elogiato il gruppo e l'ambiente in generale a Trigoria (il famoso paradiso secondo Ivan), Juric cambia drasticamente linea comunicativa. Siamo alla vigilia della sfida di coppa alla Dinamo Kiev e il tecnico sembra andare allo scontro diretto con i giocatori: "È una situazione di totale merda e possono risalire, ma devono avere una fame allucinante. Ti capita poche volte nella vita, il tifoso ha sempre ragione e i giocatori possono ribaltare la situazione. La devono prendere come la sfida più bella della loro vita in un posto fantastico come questo. Devono diventare bestie. Mi aspetto altro a partire da domani". Il campo racconterà altro.
Il tracollo a Firenze - La Roma supera le riserve della Dinamo di misura, grazie al rigore di Dovbyk. La domenica successiva però, al Franchi, arriva il crollo contro la Fiorentina di Palladino. I viola passeggiano sulla carcassa di una squadra senz'anima, altro che bestie, e rifilano un 5 a 1 che sa di umiliazione. Lo spogliatoio, che mal ha digerito le parole dure di qualche giorno prima, si scontra apertamente con Juric e nel postpartita Pellegrini parla, oltre che da capitano, anche da dirigente della Roma: "Dobbiamo guardarci negli occhi e capire che si vuole fare. Se fossi io il problema, alzerei la mano e me ne andrei. Bisogna fare bene le cose, è un momento difficile. Al livello tecnico, organizzativo, con la nostra tifoseria. Per il bene della Roma bisogna essere uomini veri, non dobbiamo prenderci in giro". E ancora, sui problemi organizzativi dentro Trigoria: "Noi siamo qui per dirci la verità. E quando una squadra inizia con un allenatore e poi lo cambia dopo quattro partite, non c'è sicuramente un beneficio. De Rossi e Juric hanno due filosofie molto diverse. Mi riferisco a questo. Parlo di tutti. Se si parla di altro, si possono dire tante cose, anche su di me. Se adesso avessi fatto cinque gol, sarebbe stato giusto magari dire altre cose. Ma so che devo migliorare. Per quanto riguarda la partita, parlo delle difficoltà e dell'incapacità nel mettere a posto le cose. Parlo di tutti, perché nessuno è escluso. Quando dico che bisogna guardarci negli occhi, parlo di questo. Bisogna dire che abbiamo fatto schifo tutti, dal primo all'ultimo. Poi se vogliamo continuare a nasconderci dietro un dito... Ma io non sono fatto così".
La lenta agonia - Insomma, rapporto compromesso con lo spogliatoio, a dimostrarlo ci sono state anche le esclusioni per Roma-Bologna di Pellegrini e Dybala (entrambi si erano messi a disposizione). Ma oltre a quello con la squadra, anche il legame tra Juric e la società non era più solido. Dopo Firenze, infatti, i Friedkin hanno cominciato il casting che ancora va avanti per il suo successore, delegittimando di fatto il croato. Eppure, si è andato avanti, attendendo prima di prendere la decisione definitiva. Dalla Fiorentina alla famosa "nota del club" sono passate altre quattro partite: la vittoria col Torino, il pareggio in Belgio e le due sconfitte contro Verona e, appunto, Bologna. Permettendo così alla squadra di arrivare, zoppicante e malconcia, alla sosta, prima di procedere al cambio. Un accanimento terapeutico che forse qualcuno un giorno ci spiegherà, insieme a tanti altri punti interrogativi mai risolti. E così, ieri pomeriggio, dopo il ko interno, a Juric non viene neanche dato lo spazio delle interviste nel postpartita. A parlare si presenta Ghisolfi, in francese, e il comunicato della proprietà liquida Ivan: "Vogliamo ringraziare Ivan Juric per il suo duro lavoro nelle ultime settimane. Ha gestito un ambiente difficile con il massimo della professionalità, e di questo gli siamo grati. Gli auguriamo tutto il meglio per il suo futuro". Fine della storia. Per dirla alla De André: "È una storia da una botta e via. È una storia sconclusionata. Una storia sbagliata".
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