AS Roma

Juric, ora è il tempo di vincere

Il parere di Iacopo Savelli: costruire una squadra vincente non dipende solo dalla mentalità

(GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Iacopo Savelli
26 Ottobre 2024 - 13:40

Una vittoria, se non celebrata, va sempre onorata anche quando la prestazione non è convincente. Per restare in corsa per la fase a eliminazione diretta dell’Europa League, la Roma non aveva alternativa, doveva battere la Dinamo Kiev. Lo ha fatto con il rigore di Dovbyk, qualche consueta disattenzione difensiva, un orrore di Le Feé da iscrivere forse al capitolo superficialità, la solita difficoltà a trasformare in rete occasioni anche clamorose. Questione di mentalità, ha detto Juric, aggiungendo la sua firma alla lista lunghissima di allenatori e dirigenti che, almeno dai tempi di Capello, ripetono sempre lo stesso concetto: a Roma è difficilissimo vincere perché non c’è dolore della sconfitta, una partita giocata bene e persa viene vissuta nello spogliatoio con soddisfazione simile ad un successo. Considerate le centinaia di giocatori, presidenti, proprietari e dirigenti che dai tempi dell’ultimo scudetto a oggi si sono dati il cambio a Trigoria, evidentemente la cultura del “vincere o perdere è la stessa cosa” deve far parte di una sorta di dna giallorosso che si trasmette sistematicamente ad ogni passaggio di consegne: “ciao, benvenuto a Roma dove di scudetti e trofei non ce ne frega assolutamente nulla”, con buona pace dei tifosi.

Spazzati via in un lampo errori arbitrali determinanti, infortuni ai giocatori chiave, vittorie strameritate sfumate per un episodio, strisce lunghissime senza sconfitte, competizioni condizionate dallo strapotere economico di club che aggiungevano giocatori in rosa ad ogni unghia incarnita. Via, niente di tutto questo a far da corollario al fatto che comunque lo sport non è una scienza esatta dove il più forte vince sempre e comunque, ma un evento programmabile fino al minuto prima del fischio d’inizio per poi lasciare spazio ad una serie di circostanze imprevedibili. No, e torniamo a Juric, il problema della Roma attuale come di quelle passate, non è l’assenza di programmazione, il ritrovarsi dopo quattro anni abbondanti di gestione Friedkin senza interlocutori competenti, una rosa imperfetta costruita per fare altro, tre allenatori con tre modi pensare calcio differenti in nove mesi, il problema è l’assenza di mentalità vincente. Nel suo j’accuse arrivato dopo settimane di complimenti e valutazioni anche sorprendenti di rosa e prestazioni, Juric ha tenuto al riparo solo la società definendo ideali al limite della perfezione le condizioni di lavoro per la squadra.

Dunque i sopravvissuti al ricambio generazionale andato in scena d’estate hanno trasmesso ai nuovi arrivati la cultura che regna sovrana a Trigoria: obiettivo andare in gita per l’Italia a buttare via partite dominate per distrazioni che sanno di menefreghismo e mancanza di ambizione. Di calcio non si parla più, è solo questione di agonismo, corsa, cattiveria. Sul fatto che la Roma sia squadra a volte tanto esteticamente gradevole quanto poco concreta, nessuna spiegazione tattica. Perché non si tira quasi mai? Perché le azioni offensive finiscono spesso per coinvolgere nel passaggio decisivo giocatori modesti tecnicamente? Perché Angeliño non è un quinto ideale mentre Celik è titolare inamovibile nel ruolo chiave del calcio moderno? Come è possibile che una scalata in marcatura a centrocampo per impedire al tuo calciatore di maggior talento di fare settanta metri di rincorsa su uno stopper sia così complicata da mettere in pratica? Nella difficilissima situazione della Roma alla quale mancano certezze di programmazione e figure chiave, si dice che Juric sia il meno colpevole: per me valeva un mese fa, oggi alibi e distinguo sono finiti anche per lui.

Nel momento in cui ha accettato di prendere la Roma, occasione della vita per se stesso esattamente come ha ricordato ai suoi giocatori in settimana, sapeva perfettamente che una cosa non avrebbe avuto: tempo. Non c’è tempo per chi subentra ad un collega esonerato, meno ancora per chi ha firmato un contratto di qualche mese per poi leggere un comunicato nel quale la proprietà gli chiede trofei. Una strada per accorciare i tempi potrebbe essere trovare un punto di incontro tra le proprie idee di calcio e i giocatori a disposizione, trasformare Dybala in Gattuso non mi sembra una pensata geniale. Nel mare di contraddizioni che ha caratterizzato le scelte dei Friedkin in questi anni, volte e giravolte, assunzioni e licenziamenti, progetti di calcio sostenibile e ingaggi in prestito di ultra trentenni, Juric sarebbe stato preso per imitare il modello Atalanta -Gasperini che però dura da otto anni con una costante, i nerazzurri non sono solo aggressività, marcature a uomo e recupero palla alto, ma una macchina da gol. “Vince chi segna, non chi prende meno gol”, ha detto Gasp nei giorni scorsi, sintesi condivisibile o meno del calcio moderno che però lui ha sempre messo in pratica da quando è a Bergamo. Negli ultimi otto campionati l’Atalanta ha una media di oltre 70 gol fatti a stagione e una differenza reti di +28. Segna tanto e non subisce poco, ma è entrata stabilmente tra le grandi d’Italia e d’Europa. Le squadre allenate negli stessi anni dal suo erede Juric invece hanno segnato e subito gli stessi gol, visto che la loro differenza reti media aggregata è +1. Certo ha lavorato in squadre meno forti dell’Atalanta, ma ora che allena la Roma il limite sembra essere lo stesso. E commettere un errore sull’uno a zero, che esso sia di distrazione, superficialità o poca mentalità, è ben altra cosa che farlo sul due o tre a zero.

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