Torneremo. Quando?
Tante domande e poche certezze. Lo sconforto post ko contro l’Inter poi la vittoria in Europa: «La Dinamo non è il Real». E i discorsi sul futuro del club non aiutano
Ancora una volta il destino, cinico e baro, prevedeva che io dovessi salire su un aereo, che erano da poco passate le tre del pomeriggio, per arrivare, più di due ore dopo, in una città troppo distante dall’Olimpico. E che, dalle sei e mezza alle otto e mezza, fossi affaccendato in vicende che mi rendevano impossibile vedere ciò che è stato. Ma che non impedivano, però, di buttare costantemente un occhio sulla chat di Whatsapp con cui, unitamente ad un manipolo di romanisti veri, condividiamo la stessa fede. Ora, un passo indietro è necessario. A questa partita, a questo giovedì, ci siamo arrivati dopo la sconfitta con l’Inter. Che non abbiamo capito se abbia rappresentato la partita che abbia definitivamente sancito che questa stagione sia meglio se ci organizziamo, da qui a giugno, i nostri week end in montagna o al mare, oppure se abbia dato quel famoso segnale – Juric la pensa così? – che ci sia finalmente una qualche forma di vita in questa squadra.
La prima reazione
La reazione immediata, però, dopo domenica è stata quella di disincanto. Lo sconforto si è impadronito di molti. L’immagine di Dybala in difesa ci ha tenuto svegli, ammettiamolo. Ma c’è da dire che in pochi, davvero in pochi, hanno poi puntato il dito contro Juric. Come se vi fosse, da parte di molti, la sensazione che sia solo uno di passaggio, uno che rimanga estraneo a questioni che riguardano, da un lato, noi, dall’altra la Proprietà e, dall’altra ancora, la Squadra. Juric viene messo fuori da questa triangolazione e vissuto come un commissario straordinario, chiamato dall’urgenza e destinato ad essere un traghettatore, che ci porti da un prima, fatto di risultati e sogni, ad un dopo, rifatto di risultati e sogni. In mezzo, solo una grandissima confusione, in cui ipotizzi che, chiamando Trigoria, al telefono il centralino ti risponda che c’è solo lui, Juric.
I commenti, ormai, sono che la stagione sia stata buttata. E, da domenica, ormai è davvero un tutti conto tutti anche tra noi tifosi: «Sei sicuro che con DDR sarebbe andata diversamente?», «Se Zale non avesse perso quel pallone...», «Sono otto anni che perdiamo in casa con l’Inter», «E se fosse arrivato Conte staremmo messi meglio?», «Vedrai che adesso arriva Mancini», «Speriamo che vendano la società quanto prima», «Devono investire nella Roma», «Adesso ritorna DDR e vinciamo Coppa Italia ed Europa League». Di tutto, di più. Un nodo gordiano. Ma qui il problema è trovare non tanto qualcuno che lo sciolga, ma qualcuno che riceva l’incarico di provare a scioglierlo. Intanto, poche certezze: contro la Dinamo giocherà sicuramente Hummels. Era ora. L’ha detto proprio Hummels. Non potrebbe essere altrimenti. Stiamo parlando di uno che a pallone ci sa giocare. Che certamente sarebbe stato dentro il progetto di Mou, e che in molti lo vorremmo vedere lì, in quella zona di campo dove, un giorno, racconteremo ai nipoti di avere visto transitare, udite udite, anche Dybala, e loro, malgrado saranno ancora ingenui, non ci crederanno.
Mistero tedesco
Stasera gioca Hummels. Bene, era ora. Quindi scendo dall’aereo, accendo il telefono e leggo, nero su bianco, «Hummels che gli ha fatto di male…?». Mi bastano queste poche parole per capire che, ancora una volta, anche nel periodo più complicato, noi non ci facciamo mancare niente. Hummels non gioca? Non gioca. Ma perché non gioca? Perché? La Dinamo non è il Madrid. Noi abbiamo bisogno di tutti senza lasciare indietro qualcuno. E invece apriamo un caso. Con Hummels, che là dietro farebbe la differenza. Mentre noi sono due mesi che lo teniamo in panchina. Come un “bambino” qualunque. E la chat è un fiorire di gente che preferisce stasera starsene a casa, perché «Hummels che non gioca non si può spiegare», perché uno che «ha giocato la finale di Champions adesso manco lo fai giocare al Pezzana» (e io, che il Pezzana l’ho giocato, leggendo ci rimango malissimo). Ed arriva la notizia che segniamo su rigore. E poi che Svilar para, che Eldor spreca, che Pelle recupera (Pelle, sì, lui), che la Dinamo ci va vicina. Che, alla fine, ci ritroviamo a quattro punti. Che sono pochi, soprattutto perché c’è chi, da lì a due ore, si troverà a nove. E questo infastidisce e, sotto sotto, preoccupa.
Ma poi si torna a riparlare che domenica, nel caso in cui, tornerebbe De Rossi; che no, farebbero venire Mancini; che i Friedkin mi sa che so della Lazio; che adesso Juric ci dirà che ha visto cose buone, mentre a noi ci fanno perdere tutto l’entusiasmo. Si va avanti così, fino a tarda sera. Senza che ci sia una notizia che ci appassioni, che ci dia la voglia di guardare oltre, di pensare che sì, dai, domenica andiamo a Firenze e facciamo risultato. Le uniche voci che si sentono dicono altro, e cioè che starei troppo male se ci segnasse Bove, ma sai che ti dico? Meglio se fosse Bove piuttosto che Cataldi e che la cosa che più mi dispiace sarebbe perdere contro Palladino. Questo sono le voci che si sentono. E la mia serata finisce così, davanti ad un piatto di cozze e patatine fritte. Che poi, a me, le cozze non sono mai piaciute, men che meno con le patatine fritte. Ma questi sono giorni in cui dobbiamo farci andare bene tutto. Perché, prima o poi, ritornerà anche l’appetito. Sì, tornerà, certamente. Ma quando?
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