AS Roma

Dybala e le assenze: la Roma venga prima di tutto

Tra infortuni e dolorini, l'argentino gioca in media il 50% del minutaggio. Nessuno può metterne in dubbio le qualità, semmai i forfait senza guai certificati

(GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Daniele Lo Monaco
13 Ottobre 2024 - 06:00

Partiamo da un assunto: chi scrive non solo considera Paulo Dybala il più forte calciatore della Roma dal giorno del ritiro di Francesco Totti, ma è anche convinto che in condizioni atletiche ideali questo ragazzo meriti di stare sullo stesso livello dei top player assoluti della storia del calcio. Quando Paulo sta bene e le gambe lo sorreggono con la giusta forza muscolare è in grado di fare cose solitamente immortalate nella galleria infinita del repertorio di Lionel Messi. Se fosse fuoco, insomma, arderebbe il mondo. Il problema è tutto in quel “se”. Perché non sempre lo è. Questo è il motivo su cui ci si può dividere quando si discute calcisticamente di questo eterno ragazzino in grado di deliziare folle calcistiche di qualsiasi colore. Prima in Argentina poi a Palermo, poi a Torino e infine a Roma. Certo, la fragilità della sua struttura muscolare non dipende da lui né dalla sua professionalità e dunque questo dovrebbe metterlo al riparo da qualsiasi addebito. 

Il problema nasce quando sorge il dubbio che il suo impegno atletico, fisico e in ogni caso morale sia realmente calibrato sulle esigenze del club che lo paga e non magari principalmente proiettato sulle prospettive della sua nazionale. Questo è il punto chiave della discussione aperta su di lui. Quando gli analisti di Friedkin hanno voluto evidenziare le problematiche della squadra allenata da De Rossi, hanno messo insieme le mele dei disagi tattici della fine della scorsa stagione con le pere dei problemi dell’inizio di questa, dimenticando di evidenziare il vero tratto comune dei due percorsi, per il resto diversissimi: le ripetute assenze di Paulo Dybala. Se, infatti, ci siamo abituati a sopportare il periodo di latitanza del campione argentino che si attesta ogni anno all’incirca sul 50% del minutaggio stagionale della squadra, ciò che a volte si può far fatica a comprendere non sono le assenze causate da un conclamato infortunio, ma dai dolorini non meglio identificati che inducono il calciatore a non buttarsi. Ad esempio: che cosa sarebbe accaduto se invece di risparmiarsi magari per non correre rischi in vista dell’imminente Coppa America, Paulo avesse dato la disponibilità a giocare a Leverkusen e a Bergamo le due più importanti sfide della scorsa stagione della Roma? Paulo le saltò entrambe, senza lesione certificata, solo per la sensazione di non essere a posto. Il paradosso è stato poi che per la coppa America non è stato neanche convocato e dunque il suo sacrificio è stato vano. 

Quest’anno la cosa si è già ripetuta con Juric: Paulo ha chiesto la sostituzione dopo quel gran primo tempo giocato contro i baschi dell’Athletic in Europa League e la partita è cambiata all’improvviso. Agli esami strumentali del giorno dopo, però, non è risultata alcuna lesione. Per mancanza di condizione, era uscito anche col Genoa dopo un’ora e anche lì la Roma ha subito il pareggio. E poi è entrato a frittata fatta con l’Elfsborg ed è mancato a Monza, rinunciando ovviamente anche alla Nazionale. Abituati come siamo ai romanisti che non mollano mai la squadra, ci piacerebbe vedere anche lui in campo se non in presenza di una lesione certificata. La stima per la sua classe non cambia mai, l’affetto per il suo attaccamento alla causa aumenterebbe.

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