Var e oggettività
Caso Baldanzi, oltre l'errore arbitrale i limiti della tecnologia
Torno sul rigore non concesso alla Roma a Monza con una premessa necessaria, era netto e non averlo concesso è un errore che sconfina nell’incomprensibile. Però è accaduto e quale che sia la spiegazione che ognuno ha ritenuto di dare all’episodio (si va dalla scarsezza di arbitro e componenti var, ai sospetti di malafede), di una cosa sono certo: dal momento che un’eventuale ammissione di responsabilità da parte dell’Aia non avrebbe restituito nulla alla Roma, sarebbe necessario trovare una soluzione regolamentare affinché un obbrobrio del genere non si ripeta.
La questione è stata al centro di un animato dibattito (forse anche troppo e per la mia parte me ne scuso) tra me, Tonino Cagnucci e Gabriele Fasan durante “Roma All News” su Radio Romanista.
Sul punto di partenza nessun dubbio, nessuna difformità di valutazione: quello su Baldanzi era rigore non una, ma due volte, opinione peraltro condivisa dalla stragrande maggioranza dei commentatori dei vari media nazionali. E allora perché non è stato fischiato? La diffusione dell’audio delle comunicazioni tra l’arbitro La Penna e il var Aureliano non solo non ha riposto alla domanda, ma ha ulteriormente aumentato dubbi e confusione, perché se è plausibile che il direttore di gara live abbia visto male, stessa cosa è inconcepibile per chi era seduto a Lissone davanti a monitor che forniscono ogni tipo di replay. Come detto prima, ognuno può dare all’accaduto la spiegazione che ritiene più convincente ma è un fatto che, quale che essa sia, si tratti di una valutazione soggettiva che naturalmente possa anche raccogliere un largo consenso maggioritario. Provo a spiegarmi.
Un qualsivoglia addetto al Var, in una qualunque partita, quando viene interpellato è chiamato ad esprimere un giudizio in base alla propria interpretazione di quanto gli venga mostrato da una macchina. L’immagine è la stessa per chiunque la osservi, ma la valutazione è frutto della percezione personale di ognuno di noi attraverso i nostri sensi e la nostra sensibilità. Ogni caso dà vita ad una lettura e un’interpretazione diverse ovviamente in misura maggiore o minore, estremizzando perfino novantanove contro uno su un campione di cento persone. Non a caso da millenni una delle grandi domande sul genere umano cui abbiano cercato di rispondere i filosofi è se esista o meno l’oggettività, domanda alla quale anche la scienza ha cercato e sta ancora cercando di dare risposta.
Io credo che l’oggettività non esista, si può essere più imparziali, equidistanti, aperti di mente di altri, ma nessuno è indenne ai condizionamenti emotivi, ambientali e psicologici. Non lo sono i tifosi che tra l’altro fanno della passione e del senso di appartenenza una delle ragioni della propria vita, non lo sono arbitri e varisti che sono giudici finali sulla base di una percezione che spesso è difforme anche tra essi stessi: l’arbitro veda una cosa, il var un’altra, l’avar un’altra ancora. Ripeto, l’immagine è la medesima per tutti, ma ognuno la vede e la elabora a modo suo.
Tutto questo nel calcio viene tradotto con il termine discrezionalità, una volta valeva per qualunque episodio mentre oggi il campo si è ristretto a quanto non può essere misurato con l’aiuto della tecnologia: il fuorigioco e il pallone che oltrepassi o meno la linea di porta. Per tutto il resto ci si affida alla valutazione immediata dell’arbitro e alla possibile revisione al var perché non codificabile, come l’ormai celeberrimo step on foot. Sempre fallo? No, ha spiegato l’Aia tramite Gervasoni con una serie di distinguo su intensità del contatto e della porzione di piede calpestata . E allora perché non valutare anche peso del giocatore che sale sul piede all’avversario o che tipo di tacchetti montino i suoi scarpini? Ricordo perfettamente come i vertici arbitrali abbiano spiegato più volte come in alcun modo il Var possa entrare nel merito dell’intensità di un contatto, di una trattenuta, di una spinta, che pertanto restano di esclusiva valutazione dell’arbitro.
Ora scopriamo che per il pestone questo non vale più, anche il Var di volta in volta può valutarne la gravità non solo supportando l’arbitro con la tecnologia, ma sostituendolo con un’intuizione, praticamente la moviola in campo.
Per evitare questa follia sarebbe davvero impossibile codificare a monte che ogni pestone sia fallo che il Var eventualmente dovrebbe solo certificare con un Sì o un No senza aggiungere o togliere alcun dettaglio affidato alla discrezionalità? Per me sì ma alla fine di “Roma All News” il direttore Daniele Lo Monaco mi ha detto: “Non accetterei mai di perdere una finale di Champions per un mini pestone” per spiegarmi la sua contrarietà all’ipotesi di sanzionare automaticamente anche il minimo step on foot. Capisco le sue ragioni ma resto dell’idea che sia sempre meglio correre il rischio di una sanzione troppo severa che lasciare libero arbitrio a chi magari oltre che scarso è anche condizionato. L’alternativa resterà fare la conta degli errori subìti.
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