Aggredire o aspettare, serve una sintesi
Resta il limite del gioco troppo orizzontale, senza coraggio vincere diventa difficile
Imbarazzo, così titola oggi Il Romanista a commento della sconfitta dei giallorossi sul campo del semisconosciuto Elfsborg. Poco importa che non sia la prima occasione che la Roma, soprattutto in trasferta, si esponga a figuracce di questo tipo, ogni volta è una ferita inaccettabile per chi si è sobbarcato viaggi della speranza per essere presente in curva, ma anche una sofferenza per chi ha seguito la partita da casa. Perché sempre a noi? Perché la Roma è l’unica squadra che anche quando spende molto sul mercato finisce sempre per pagare un prezzo ancora più alto al turn-over, che nel calcio delle tre partite a settimana è inevitabile, anche quando affronta avversari di assoluta modestia? Non ho la pretesa di dare una risposta a domande che ci portiamo dietro da anni, mi limito ad una riflessione su quanto stiamo vedendo da inizio stagione.
La Roma è una squadra pensata per avere qualità, è piena di giocatori di talento, bravissimi a palleggiare nello stretto, rapidi più di pensiero che di gamba, con due grandi limiti: la scarsa propensione di troppi a buttarsi negli spazi e a riempire l’area avversaria quando attacca e la tendenza a rallentare l’azione quando arriva nella trequarti avversaria e lo spunto individuale, l’uno contro uno, diventa decisivo per aprire le difese. Così il dominio nel possesso palla, la sensazione di avere in mano la partita, non si traduce in vere e proprie occasioni da gol ma resta spesso uno sterile dai e vai, con l’aggravante di palle perse in zone centrali e pericolosissime che espongono la squadra a ripartenze tanto elementari, quanto pericolose: basterebbe contare quante volte nelle otto partite giocate finora, un avversario si sia presentato da solo davanti a Svilar. Juric ha aggiunto all’ultima versione derossiana dei giallorossi, quella di Genova, la ricerca costante di aggressione alta.
Ieri come nel primo tempo di Marassi, due difensori centrali su tre erano sempre nella metà campo dell’Elfsborg, dinamica che per forza di cose restringe gli spazi e toglie ampiezza alle azioni offensive se ci si limita a girare palla senza mai cercare il duello individuale, per finire con lo scaricare palla all’indietro. In più Paredes che indubbiamente ha più qualità di Cristante che sbaglia tanto ma si libera subito del pallone, ha perso una frazione di secondo ogni volta che ha impostato l’azione quasi sempre per altro per via orizzontale, abbassandosi sulla linea dei difensori centrali. Ora, la Roma non meritava di perdere ma ha mostrato di nuovo i limiti di una rosa cui manca secondo me una cosa fondamentale per mettere in pratica il calcio “verticale” di Juric, la velocità.
Ha giocatori rapidi di pensiero ma non di gamba, fa girare la testa agli avversari nello stretto ma quando si allunga non fa male e finisce spesso per rinunciare alle opportunità di azioni frontali a campo aperto per cercare anche in superiorità numerica combinazioni complicate, come quella vanificata ieri da Soulè con un tocco maldestro per Saud. Trovare una sintesi tra le idee dell’ allenatore e la struttura della rosa, può essere la chiave di volta per restituire alla Roma la dimensione che si pensava avrebbe avuto dopo la rivoluzione estiva. Non può stare troppo bassa perché non ha contropiedisti che possano interrompere il predominio avversario spezzandone ritmo e fiducia, vedi secondo tempo con l’Athletic Bilbao, ma non ha nemmeno la fisicità per accorciare sistematicamente il campo. Si può trovare una via di mezzo tra le due cose? Vedremo, intanto si potrebbe cominciare col privilegiare la concretezza all’estetica, rischiare qualche figuraccia cercando direttamente la conclusione o il dribbling utile a scapito di qualche ghirigoro, non si segna soltanto entrando in porta con il pallone. E in assenza di Dovbyk un’altra buona idea potrebbe essere non affidarsi ai cross di Celik per Baldanzi.
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