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Quando i nostri sogni cominciavano alle tre

Io quel momento lo aspettavo per tutta la settimana: due parole, “Noi andiamo”, come una finestra sulla felicità, un ponte verso l’ideale, il teatro del sogno

(GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Danilo Per la Roma
29 Settembre 2024 - 07:30

Quando ho saputo che ROMA-Venezia si sarebbe giocata, di domenica, alle tre è come se il mio cuore fosse tornato a battere al ritmo di quando ero un ragazzino. 

Me le ricordo bene quelle domeniche mattina di piacevole torpore: iniziavano con i baci di mia madre e l’odore del latte sui fornelli per la colazione. E mentre mio padre finiva di radersi io, di corsa, mi vestito così da poterlo accompagnare all’edicola: lui il giornale e io quei pacchetti di figurine di cui ancora oggi ricordo il profumo.

Ce l’ho, ce l’ho, mi manca. Sì, mi manca perché poi, camminando con due dita sotto al nastro delle pastarelle, tornavamo indietro per aspettare mia madre e mia sorella sotto al portone, salire in macchina e, tutti insieme, andare a pranzo a casa di mia nonna. Lì, aprendo quella porta, l’odore del suo sugo con le spuntature rappresentava la cosa terrena più vicina a quel dieci esclusivo, altrimenti, di Paulo Roberto Falcao. Quei pranzi di famiglia, come mattoni su cui costruire ricordi, volavano via sereni mentre mio nonno, versandosi un altro bicchiere di vino rosso, teneva banco con i suoi racconti popolati di mille parentesi che poi, però, riusciva sempre a chiudere anche quando, intanto, nessuno si ricordava più che erano rimaste aperte.

Grandi risate collettive animavano discorsi pieni di riferimenti, storie, vita. Anche se, lo confesso, più si andava avanti con l’orario e più rimanevo vigile sull’orologio in attesa di quel “Noi andiamo” di mio padre con il quale rompevamo le righe. Salutavamo tutti e insieme a mio cugino – anche lui con mia zia presenze fisse a questi pranzi di famiglia – e mia sorella correvano verso la macchina per andare allo stadio.

Sapete una cosa? Io quel momento lo aspettavo per tutta la settimana: due parole, “Noi andiamo”, come una finestra sulla felicità, un ponte verso l’ideale, il teatro del sogno. Lì all’Olimpico, accanto alla ROMA e inghiottito dentro tutti quei meravigliosi riti collettivi, dove i fumogeni mi facevano vedere il mondo proprio come lo avevo sempre sognato: giallo e rosso.

E il cuore, al ritmo dei tamburi, iniziava a battere più velocemente.

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