AS Roma

I had a dream

Quello che sognavamo potesse succedere sotto la guida di De Rossi, l’incubo in cui siamo precipitati senza di lui

(GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Daniele Lo Monaco
20 Settembre 2024 - 12:02

Avevo un sogno, quando Pellegrini domenica ha raccolto quel pallone sulla trequarti, quasi davanti alla panchina della Roma, e poi è stato proditoriamente colpito al ginocchio dall'ex romanista Sabelli: che l'arbitro Giua  lo rilevasse, fischiasse la sacrosanta punizione per la Roma e De Rossi, pochi metri più in là, applaudisse la decisione che avrebbe garantito alla Roma la vittoria. Avevo un sogno: vedere De Rossi correre alla fine verso la sua gente chiusa nel settore ospiti, festeggiare con loro il meritato successo, e non, com'è accaduto, per raggiungere gli spogliatoi attraversando il campo tra i fischi come l'ha costretto a fare l'arbitro dopo aver punito quella sacrosanta protesta.

Avevo un sogno: vedere Dan Friedkin piombare a Trigoria, com'era programmato (così si erano affannati a spiegarci), riunire de Rossi, il suo staff e l'intera squadra, per due parole semplici, razionali e, magari involontariamente, molto romaniste: “Cari ragazzi, a Genova ci siamo messi sulla buona strada, non mi sono piaciute troppo le prime tre partite di campionato, ma mettetevi in testa che questo signore qui sarà il vostro allenatore per i prossimi tre anni, o ognuno di voi dovrà meritarsi la conferma in questo glorioso club giorno dopo giorno, dando il massimo in allenamento, senza mai fare polemica, tutti uniti e in silenzio, come piace a me, dietro il vostro allenatore. Noi lo tuteleremo perché abbiamo investito molto su questo progetto che deve avere almeno una durata di tre anni, chi non si allinea starà fuori, ho investito tanto e voglio i risultati che questo gruppo sono sicuro sarà in grado di raggiungere”. 

Avevo un sogno: verificare i bollettini dell'allenamento della settimana, riscontrare i progressi atletici che inevitabilmente i nuovi arrivati avrebbero fatto segnare, comprendere la pienezza di una rosa finalmente all'altezza, rammaricandomi solo per l'infortunio di Saelemaekers che però, per due mesi, sarebbe stato assorbito dalla presenza di El Shaarawy e dal reintegro di Zalewski, inevitabile. Avevo un sogno: la partita con l'Udinese, davanti a 70.000 spettatori, nel fresco delle 18 di fine settembre a Roma sarebbe stato il trampolino di lancio per la ripartenza, per fare altri tre punti, per vedere De Rossi roteare quel pugno come ha fatto per vent'anni, guidandoci dal campo con la sua fede, il suo sentimento, il suo romanismo, la sua capacità. Avevo un sogno: battuta l'Udinese sarebbe toccato al Bilbao, una squadra un po' come la nostra, cresciuta non tra i trofei ma coltivando il sentimento popolare e il senso d'appartenenza, e sarebbe stato bello confrontarsi a questi livelli, quelli dove non ti portano le Champions League, ma solo ciò che provi per la tua maglia, per la tua terra, per la tua gente. Noi con De Rossi, loro con Valverde. Avevo un sogno: sull'onda dei due successi, delle prove finalmente convincenti dei nuovi arrivati, la sopraggiunta condizione atletica, della finalmente acquisita conoscenza di tutti i ragazzi a disposizione, avremmo avuto la formazione giusta anche per battere un vecchio amico, Eusebio Di Francesco, atteso all'Olimpico con il suo Venezia, chiamato all'ennesimo miracolo tentato della sua carriera, anche se dopo quel Roma-Barcellona là pochi altri gliene sono riusciti. Lo avremmo battuto, l'amico Difra. E a quel punto la stagione sarebbe decollata. 
Avevo un sogno, che non è quello ingenuo e fanciullesco di vincere tutte le partite, anche se qualche topino di laboratorio starà cercando l'algoritmo che lo renderà possibile. Ma il calcio è una roba diversa, è per gente di carne, con un cuore, un'anima, una testa. Avevo un sogno: vedere De Rossi addentrarsi nell'inverno, venir fuori in primavera, trionfare alle porte dell'estate.

Avevo un sogno: vedere la squadra alzare un trofeo, Pellegrini di nuovo sorridente, la coppa passare di mano in mano, dal capitano all'ultimo degli impiegati, fino a terminare nelle mani più salde, quelle dell'allenatore, De Rossi, finalmente rilassato e felice per la missione compiuta, nostro vanto e nostra bandiera. Avevo un sogno. Adesso sto dentro a un maledetto incubo.

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