Roma e la Roma non si toccano!
La nostra storia calpestata di nuovo
Ho visto moltissimo di Roma, della Roma, della “nostra” Roma. Non tutto, ma quasi, perché Lei ha solo 29 anni più di me. Quante volte ho sentito i battiti del cuore, senza riuscire a contare quanti fossero in sessanta secondi, rincorrersi all’impazzata tra emozioni travolgenti e stravolgenti. Per Lei. Che bello, a 13 anni, spingersi per ore davanti al cancello della Curva Sud riservato agli Under 13, insieme a centinaia di amici, quelli con la tessera del “Roma Junior Club” che ci permetteva con 300 lire di acquistare il biglietto e andare lì, nel Cuore della Sud, lì dove il cuore batte. E, poi, più dolori che gioie, più sconfitte che vittorie, tanta acqua lungo la schiena, quando ci sedevamo su quelle panche di legno intrise di pioggia, dure, umide d’inverno e d’estate, rimaste senza riparo per decine di anni. Ma non ce ne siamo mai accorti.
Dopo una brillante carriera di “calciatore” nelle giovanili, sono stato costretto a smettere di giocare, per i risultati negativi ottenuti a scuola. Ma quel giorno, non ricordo se e come, mi sono detto che la Roma sarebbe rimasta la mia compagna di viaggio. Comodo o scomodo che fosse. Lo è stata. Lo sarà fino a quando sarà possibile. A me. Lei rimarrà per sempre. Romanismo. Su questo non c’è alcun dubbio. La fortuna, la tigna tutta romanesca, mi porta a diventare giornalista. Della lunga avventura professionale ricordo un momento tra i più dolorosi. Ero in tribuna stampa, inviato dal grandissimo Giorgio Tosatti, per i servizi su Roma-Liverpool, finale della Coppa dei Campioni. Quella sera ho scritto piangendo, mentre gli inglesi ballavano la loro danza di vittoria in Curva Nord. Mi è accaduto altre volte di piangere per Lei.
Non è accaduto nelle recenti situazioni di dolore, quando ero ormai fuori dal giornale. È accaduto per le “cacciate” di Francesco Totti e Daniele De Rossi da casa loro: da Trigoria. Nel giro di pochi anni, due proprietà americane sono riuscite nel gesto più vile che abbia vissuto (e non solo io), nutrendomi di e con la Roma.
Della storia di Francesco sono state scritte pagine e pagine, perfino un libro e un docu-film sulla sua vita. Sappiamo tutti tutto. Qualcuno è rimasto ancorato alla propria versione, la maggior parte ricorda benissimo l’intervista rilasciata alla Rai da Totti, che per Luciano Spalletti avrebbe portato alla clamorosa decisione di metterlo fuori dalla lista dei convocati per la partita, aprire la porta di Trigoria e farlo uscire!
Ora è toccato a Daniele De Rossi. Messo alla porta a pochi mesi dalla firma su un contratto triennale, che portava con sé un progetto a lunga scadenza. Quanto lunga? Quattro partite! Portava con sé e nascondeva un ennesimo tradimento. Tradimento: a Roma è un qualcosa che non si accetta. Mai. Lo sappiamo.
Dall’inizio degli Anni Ottanta ricordo altri due dolorosi (uno terribile) divorzi tra la Roma e un suo capitano. Dino Viola, per motivi tecnici, allontana Agostino Di Bartolomei, sfilandogli la maglia, mettendogli addosso quella del Milan. Il resto…
E Peppe Giannini, reo di aver sbagliato un calcio di rigore in un derby con la Lazio, viene ceduto da Franco Sensi. Ma sono state storie diverse dalle ultime due. Nelle quali è stato calpestata volgarmente la Storia della Roma, dal 1927 a oggi e chissà fino a quando. Umiliati due uomini, due Capitani e tutto il popolo giallorosso. «… A te, a te che sei la mia Roma, a te che non sarai mai sola, perché non hai lasciato mai me. A te, a te la mia fedeltà, il mio coraggio, la lealtà, la mia voce nella gola…». Ma che ne sanno gli americani. Non lo sanno, non potranno mai provare come e cosa si respira nei vicoli, nei rioni, nelle periferie, o guardando la cupola di San Pietro e il Colosseo o il tramonto dal Gianicolo. Il licenziamento di Daniele De Rossi è intriso di tanta malsana e inconsapevole dirigenza, che va oltre le responsabilità degli attori in scena. Ci saranno ore, giorni, mesi e forse anche più per cercare di capire o di avvicinare le verità. Ci rimane sulla pelle l’ennesimo, bruciante dolore. Piano piano passerà. A noi tignosi, un po’ nobili, un po’ legionari e un po’ coatti romanisti.
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