Il mio vanto libero
Francesco Campanella, dal “Corsport” al “Romanista” per amore e passione. Ci lasciò prematuramente nel 2005, fu il primo vicedirettore: «La mia creatura in mano ai tifosi»
«Francesco, molla tutto, è l’ora del caffè». «E andiamo con le due cremine, ma subito, prima che il direttore ci chiami…». Ecco l’ascensore, al sesto piano, lento, lentissimo. Nel palazzo di vetro di Piazza Indipendenza, il palazzo del Corriere sognato da generazioni di giovani con la vocazione del giornalista.
Francesco, in quel palazzo sei entrato ragazzo, con un “prezzo” da pagare. Cominciare come impiegato nella segreteria del giornale, con la vocazione momentaneamente protetta in un angolo prezioso della testa, del cuore. Ma la gavetta, per chi stoffa ne ha, è solo un passaggio. Sempre. Poi, più di vent’anni per dare alle stampe notizie, pezzi e titoli, per conquistare, in parte, la tua giusta dimensione: essere un “graduato”, vice caporedattore per contratto, molto di più per capacità e “grinta” professionale.
Per anni l’appuntamento al bar, ma quel giorno sembro quasi presagire che sarà diverso. «Ciao Francesco, le solite cremine?». «Dai, che devo dirti una cosa…». L’ascensore che porta al piano terreno per una volta somiglia a un jet. La curiosità è più ansia che altro. E neppure il tempo del solito e “fraterno” caffè, che arriva la notizia... «Me ne vado, lascio il Corriere, ho voglia di respirare la Roma liberamente, vado al Romanista».
Parole pronunciate sottovoce da Francesco, ma che arrivano rumorose e travolgenti come macigni. La mente ripercorre tutto, perfino quelle ore, giorni, anni scanditi nel cercare quotidianamente un parcheggio a Piazza Indipendenza. Quel parcheggio che era l’inizio della giornata-tipo, nel cuore di Roma, in una piazza amica, ma diventata, chissà come e perché (ma non improvvisamente), troppo stretta. Ora si spalanca un mondo davanti ai tuoi occhi, davanti al computer: nuovo di zecca anche quello, così come la vita che finalmente zampilla, nascosta fino ad allora e adesso scandita da una decisione coraggiosa ma entusiasmante. Il Romanista nasce, primi Anni Duemila, un gruppo di fondatori. Francesco, sei con loro: per respirare liberamente, con orgoglio.
Drinnn, la telefonata quotidiana, da un giornale all’altro, e un puntuale racconto, denso, emozionato… «Domani usciamo con…». Incontrarti e accorgermi che sei un altro Francesco, il sorriso solare incorniciato dalla tua barba curata, che adesso è, però, solo un piccolo particolare del viso, sul quale occhi luminosi sono diventati specchio di un’anima felice, sì felice si può dire, e sono testimoni di un uomo e di un giornalista che, finalmente, ha trovato casa. Mai visto così, avevi cominciato nei primi Anni Settanta aggredendo la cara e fedele Olivetti Lettera 35. Adesso, vice direttore, inventi il giornale, il tuo Romanista.
Racconti, i tuoi, simili a quelli di un bambino giunto al termine della prima elementare… «Nove mesi stupendi, penso e decido io, vedo la mia creatura in edicola e in mano ai tifosi. Non riesco quasi a spiegare, sono nato con la Roma dentro, ora me la ritrovo sulla pelle e posso accarezzare i brividi tutti i giorni. Meraviglioso».
Nove mesi al Romanista, i più belli vissuti e ascoltati dalle tue labbra in tanti anni di spazi e momenti divisi insieme, poi ti sei fermato, costretto a fermarti per prendere fiato, per una riflessione, stavolta più grande di te. Troppo. Ma è stato solo un momento, lungo, forse, ma solo un momento che va oltre il tempo. Francesco, auguri dal e al Romanista. E un bacio al cielo.
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