AS Roma

L'ultimo bacio di Ago

Di Bartolomei dà l’addio al giallorosso vincendo la Coppa Italia contro il Verona. La Sud lo omaggia con lo striscione: «Ti hanno tolto la Roma, non la tua Curva»

Agostino Di Bartolomei

Agostino Di Bartolomei

PUBBLICATO DA Lorenzo Latini
26 Giugno 2024 - 08:45

Solleva la Coppa Italia al cielo e accenna un sorriso malinconico, Ago: lo sguardo rivolto ai tifosi, alla sua gente. Sembra quasi voler regalare loro quel trofeo, a cui da Capitano tiene più di chiunque altro. Perché è ancora vivissima nel cuore di ogni romanista la ferita della sconfitta contro il Liverpool, e Di Bartolomei sa benissimo che non può andar via da Roma e dalla Roma senza regalare e regalarsi qualcosa. Perché non può finire tutto con dei maledetti rigori e con le lacrime di una città intera.
Ecco perché, il 26 giugno 1984 (esattamente quarant’anni fa) Ago vuole quella Coppa a tutti i costi. Perché, dopo una vita all’ombra del Colosseo, sta per trasferirsi a Milano, sponda rossonera, assieme a Nils Liedholm. È la fine di un’era e, per certi versi, anche di un ciclo: di lì a qualche mese in panchina ci sarà un altro svedese, Sven-Goran Eriksson, e in campo resteranno Cerezo, Ancelotti, Pruzzo, Tancredi. Ma con le partenze del Barone e del Capitano - oltre che di Falcao, nel giro di qualche mese - c’è la sensazione che quel giorno si chiuda un capitolo. Il capitolo più bello della nostra storia.

Agostino alza al cielo la Coppa Italia, la quinta per la Roma, con la fascia di capitano al braccio e il tricolore sul cuore. È l’ultimo regalo, o forse no, perché come puoi usare la parola “ultimo” per raccontare una storia d’amore così grande? Ti viene il magone soltanto a ripensare a tutto quello che è stato, che è e che sarà. Glielo dice anche la Curva Sud, con uno striscione che è storia: «Ti hanno tolto la Roma, non la tua Curva». Altrettanto toccante la lettera che gli dedica il Commando: «Rideremo e piangeremo tutti perché avremo avuto un grande uomo che ci ha voluto bene. Vogliamo le tue braccia che alzano la Coppa sotto la curva, vogliamo vederti sorridere sotto di noi, insieme a noi». Ma quando, dopo quell’1-0 sul Verona, la Coppa viene portata sotto la Sud, a stringerla tra le mani sono Cerezo e Chierico, non Ago. Lui l’ha ricevuta, poco prima, da Matarrese, e l’ha alzata al cielo quasi con fatica, come se quel trofeo contenesse al suo interno gli ultimi undici anni, dall’esordio in Serie A fino a oggi. Ma poi, quando s’è trattato di portarla verso il cuore della Roma, Ago ha preferito lasciarla in mani meno nervose, meno commosse: «Se fossi arrivato davanti a quella curva con la coppa in mano - dice nel post-gara - non so se avrei retto all’emozione».

Stavolta non ci sono vasi di fiori da lanciare, come un anno prima durante la festa Scudetto: la gioia esplosiva ha lasciato il posto a una rassegnata malinconia, non priva di dolcezza, proprio come può capitare tra due persone che si stanno lasciando, ma che lo fanno con la ferma consapevolezza che non smetteranno mai d’amarsi. In fondo, questa è l’unica immagine che possa raccontare il rapporto tra Agostino e i romanisti: due amanti, che nessuna distanza - sia essa spaziale o temporale - potrà mai separare. 
Con la vittoria per 1-0, arrivata grazie a un’autorete del romano Ferroni, Ago saluta la Roma con una vittoria. Con una Coppa. Che non sarà quella tanto sognata sfumata il 30 maggio, ma non è neppure una banale “consolazione”, come qualcuno la definirà all’indomani: è un segnale di orgoglio, di forza di volontà e della capacità di sapersi rialzare, anche dopo una delusione enorme.  È l’ultimo bacio prima dell’addio, struggente ma necessario, doloroso ma vitale. 

Perché è vero quello che si dice: il dolore ci ricorda che siamo vivi. E un addio è doloroso soltanto quando di mezzo continua a esserci l’amore. In quel sorriso tirato di Ago, mentre alza al cielo la Coppa Italia il 26 giugno 1984, c’è proprio questo: un amore che è talmente grande e dirompente da far male. Anche a distanza di quarant’anni.

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