10 motivi per sperare nel salto
Il capitano della Roma è pronto a riprendersi ciò che il destino finora gli aveva tolto
Ci sono stati giorni amari che (cit.) su quella giostra non ti ci hanno fatto salire, né te né i tuoi amici. Semplicemente perché hanno fatto entrare qualche gruppo più simpatico e adesso non c’è più posto. Nel 2018 Lorenzo Pellegrini aveva sperato con gli altri di conquistare il diritto a giocare il mondiale. Ma la sciagurata gestione Tavecchio-Ventura portò all’epilogo più amaro, con la Svezia, e allora niente mondiale, niente giostra. Poi altro giro, altra giostra, in teoria. Stavolta il comportamento del gruppo degli amici è perfetto, a guidarli Roberto Mancini, l’uomo giusto al momento giusto. Sono Europei, non Mondiali, ma proprio il giorno prima dell’apertura dei cancelli ecco l’imprevisto, il destino è ancora una volta spietato: no Lorenzo, verranno gli altri a divertirsi, tu, ancora una volta, resta fuori a guardare. Nel frattempo Lorenzo è diventato uomo, il primo passo per farlo è stato andare via dalla sua città, ma poi è tornato con tutti gli onori, il viaggio di ritorno da Reggio Emilia carico di aspettative, molte di più di quelle del viaggio d’andata. L’approccio non è stato semplicissimo, c’è voluto un gol di tacco contro la Lazio per liberare tutto quello che il futuro capitano aveva dentro e che solo dopo avrebbe mostrato. È stato un segnale per gli altri prima che per lui, figli di Roma, capitani, bandiere, anche Lorenzo è di questa stirpe.
Ma quel tarlo in maglia azzurra gli è rimasto qui e quando la squadra vincente (senza di lui) si è misurata di nuovo sulla possibilità di conquistare un altro mondiale, ancora una volta il verdetto è stato spietato, proprio quando sembrava destinato ad interpretare un ruolo da protagonista. Fuori tutti di nuovo, una maledizione. Per fortuna lenita con la gioia più grande che le ristrette ambizioni della Roma di questi anni possono permettere, ma la coppa alzata a Tirana valeva per lui (e per ora) più di una Champions. Finalmente Lorenzo, finalmente la sua Roma, con la fascia di capitano, con un trofeo internazionale. Stavolta niente e nessuno si è potuto mettere per traverso. Stavolta è tutto vero, la consacrazione è conseguenziale, più delle parole di Mourinho (ricordate? «Se avessi tre Pellegrini li farei giocare tutti e tre». Chissà, a proposito, se e quando è svanita davvero quella stima, chissà se è bastato un esonero inatteso (ma da più parti preconizzato) per interrompere questo circuito di emozioni tra l’allenatore e il capitano della Roma. Qualcuno sussurra parole pesanti, lo stesso Mourinho ha evocato per iscritto scenari di tradimento, prima che la reazione virulenta del capitano non rimettesse a posto le cose. Ma la calunnia è un venticello, e da queste parti soffia con il ponentino.
Quasi lo stesso meccanismo alla base di un’altra vigliacca aggressione, alla quale Il Romanista, inteso come giornale, si fa vanto di non aver preso parte, quando su tutti i giornali sono cominciate a circolare testimonianze gossippare di qualche comportamento non solo eticamente discutibile, ma addirittura penalmente rilevante, e della specie più odiosa. Spazzatura che le inchieste serie giudiziarie (non quelle ridicole asseritamente giornalistiche) hanno provveduto a smantellare. Saranno i giudici ad occuparsene facendo forse sorridere gli eredi Pellegrini per altre generazioni. Ma mentre le cose sul campo non funzionavano e i muscoli si intorpidivano, improvvisamente la botta psicologica per sopportare tutto questo è costata cara in termini di serenità proprio nei momenti in cui, invece, un uomo e sua moglie dovrebbero godersi la gioia più bella, come può essere la nascita di un altro figlio, nello specifico il terzo. Per fortuna la solidità di certi legami regge la tensione di qualsiasi scarica elettrica e oggi è tutto dimenticato, spazzato via dalla forza della verità. Nel frattempo alla guida tecnica della Roma i Friedkin hanno messo un signore che per Lorenzo Pellegrini sta nel Pantheon dei più grandi da sempre. E con Daniele De Rossi, indossando proprio quella fascia che con il ponte di Edin Džeko Lorenzo aveva ereditato, il suo talento è tornato a splendere fino all’epilogo controverso di una stagione troppo usurante per poter garantire risultati fino in fondo.
E adesso siamo qui, la storia diventa cronaca, Lorenzo è partito ieri per la Germania con la maglia numero 10 nel trolley, piacevolissima eredità tecnica legata ad un numero che da sempre rappresenta simbolicamente il ruolo di maggior prestigio. Fa ridere a pensare che Francesco Totti non l’abbia mai potuta indossare in nazionale con la continuità che il suo talento avrebbe meritato. Ora l’occasione ce l’ha Lorenzo. Lore o mai più, verrebbe da dire pur nella consapevolezza che di occasioni per brillare ce ne saranno ancora tante. Ma la vita è adesso. Qui e ora, a partire da sabato, dall’esordio con l’Albania, con la maglia azzurra numero 10, davanti ai tanti tifosi che nel momento dell’inno caricheranno il proprio cuore affidandolo ai piedi più sensibili. Sono i suoi, sono quelli di Lorenzo Pellegrini, il capitano della Roma. Può diventare il leader tecnico di questa nazionale, può trovare la consacrazione anche al di fuori del Raccordo Anulare, la stessa che avrebbe già meritato nelle tre precedenti occasioni perdute, Due per la sbadataggine della squadra, una per quel vile agguato del destino. Lorenzo vuole prendersi tutto, e con lui gli altri tre romanisti, potenziali protagonisti in attesa. Fatece largo che passamo noi...
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