AS Roma

Parla Marco Liorni: "Sanremo? No, Scudetto"

«Condurre il Festival sarebbe l’apice della carriera, ma io preferisco le gioie collettive. Ho pianto per la Roma dopo il titolo perso col Lecce. Il ko con la Samp del 2010 mi ha tolto la voce»

Il noto conduttore televisivo Marco Liorni

Il noto conduttore televisivo Marco Liorni (GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Alessandro Cristofori
19 Maggio 2024 - 10:01

Tutte le sere entra nelle case degli italiani con “L’eredità”, lo storico quiz di Raiuno che conduce dallo scorso 2 gennaio. Gli inizi nell’emittenza locale con Gbr, i successi con “Real Tv” e “Grande Fratello” a Mediaset, mentre in Rai è stato il volto de “La Vita in Diretta” e “Reazione a Catena”. Marco Liorni è uno dei conduttori televisivi più amati per garbo e professionalità. Ma quando gioca la Roma, come ammette lui stesso, il suo animo “ultrà” torna a farsi sentire.

Liorni, fa strano immaginarla a tifare Roma in Curva Sud con i ragazzi del Commando Ultrà.

«Ero giovane e anche se non ero presente in tutte le partite, conoscevo tutti i cori a memoria. Ancora adesso li canticchio. A volte mi capita di intonare quelli più goliardici alle mie figlie che si divertono tanto. Non so se vengono fatti ancora. Oltre a frequentare lo stadio, amavo anche andare ad assistere agli allenamenti al Tre Fontane».

Ha mai pianto per la Roma?

«Nel 1986, per lo scudetto perso con il Lecce. Quella sembrava una favola scritta, una cavalcata stupenda che sarebbe dovuta terminare in un modo diverso. Anche nel 2010, quando perdemmo con la Sampdoria, dicendo praticamente addio al sogno tricolore a poche partite dal traguardo. Una delusione incredibile».

Lacrime anche lì?

«No, non piansi perché avevo un’età diversa. Mi trovavo in Spagna per ragioni di lavoro, la vidi da solo e ricordo che sono stato malissimo. Tanto da non riuscire a parlare per un po’. Per chi fa il mio lavoro è un problema».

Scusi se cito un’altra amarezza: non mi ha ancora parlato del 30 maggio 1984.

«Il Liverpool? La fila enorme per comprare il biglietto nelle settimane precedenti, mi ricordo i fumogeni, ci sono stati disordini, la polizia. E oltre ai fumogeni mi beccai anche qualche calcio nel sedere dai celerini. Se penso a Roma-Liverpool mi viene in mente il silenzio. Quel silenzio irreale all’uscita dallo stadio di decine di migliaia di persone di cui si sentiva soltanto il rumore dei passi».

La Roma è quindi ancora il suo grande amore?

«No, la Roma non è un amore ma un innamoramento! L’amore si stabilizza in qualche modo, mentre l’innamoramento è sempre molto passionale e provi tutti i dolori e anche le gioie immense, avendo sempre in cambio delle emozioni uniche. Quando c’è un gol, per esempio, tutti provano un’euforia incontenibile nello stesso preciso istante. Oppure sconforto e rabbia. Cos’altro ti può dare sensazioni del genere collettivamente nello stesso momento? Forse qualcuno potrebbe pensare che siamo messi male se questa cosa la possiamo ritrovare solo nel calcio, ma è così. Non si smette mai, innamorati sin da ragazzini fino all’età adulta»

Parliamo anche di gioie: il momento più bello è lo Scudetto?

«Il primo Scudetto dell’83 non si può dimenticare mai, anche perché io ho amato visceralmente Paulo Roberto Falcao. Lo adoravo non solo per quello che faceva in campo ma anche per come si comportava fuori. Dopo la sconfitta in casa con la Juventus si è rivelato un grande trascinatore risultando decisivo nella vittoria di Pisa la domenica successiva. In quella settimana, per noi tifosi molto difficile dopo il ko interno con i bianconeri, scelse di andare ospite nel programma “Mixer” di Minoli per parlare a tutto il popolo giallorosso, rassicurandoci che lo Scudetto si sarebbe portato a casa. Un condottiero. Ma ci rendiamo conto di chi stiamo parlando? Quella Roma inoltre aveva tanta gente di grande personalità, e spero che questo ingrediente venga tenuto presente anche per la Roma che verrà».

Cosa intende?

«Sento De Rossi dire che vuole giocatori di gamba e ha ragione perché il calcio va in quella direzione ma spero sempre che al di là delle caratteristiche tecniche e fisiche i nuovi acquisti che indosseranno la nostra maglia abbiano tutti un elemento in comune: la personalità. Alla fine, le grandi squadre sono quelle che hanno i campioni e che hanno giocatori di personalità, e spesso e volentieri le due cose coincidono anche».

Si aspetta quindi una Roma ambiziosa per il prossimo anno?

«A me vanno benissimo i giovani su cui si può fare tantissimo, però servono i grandi giocatori o comunque gente con la mentalità giusta. Siamo la Roma e non possiamo permetterci di sperimentare troppo con una squadra di ragazzini, anche perché i giovani hanno bisogno di personalità importanti accanto per poter crescere al meglio. Di calciatori forti ne abbiamo un po’, ma mancano in alcune zone del campo».

Mi permetta di citare il suo programma: che eredità ha lasciato Mourinho alla Roma?

«Enorme. Un’eredità di mentalità e l’abbiamo vista in tante partite anche dopo il suo addio. De Rossi ha portato la leggerezza di cui c’era effettivamente bisogno. Si vedeva. Mi ha colpito anche la dichiarazione di Daniele in riferimento al rigetto da parte della squadra riguardo la difesa a tre. Forse anche quello è un segnale che qualcosa si fosse logorato. Mourinho ti chiede molto a livello mentale e alla fine questo lo paghi, De Rossi ha fatto un lavoro monumentale perché è riuscito a prendere il bello e a valorizzare tutto quello che aveva portato un grandissimo come Mou».

Cosa ne pensa dei Friedkin? Lei è un uomo di comunicazione e questa proprietà non ha mai parlato pubblicamente, preferendo i fatti alle parole.

«La Roma non è solo una società, la Roma sono i tifosi. Perché se tu togli la gente che sostiene la squadra finisce tutto e quindi a questa gente bisogna parlare. Però non è detto che a farlo debbano essere i Friedkin o la Ceo Lina Souloukou, ma ci deve essere un direttore sportivo capace anche in questo. Io non sono mai stato un fan di Tiago Pinto perché secondo me un ds deve occuparsi di mercato, della gestione dell’area sportiva appunto, ma deve essere un frontman anche dal punto di vista della comunicazione. Pinto le interviste a volte la faceva, ma in tanti momenti è mancato. Forse il club non voleva uno scontro frontale con gli arbitri e condivido anche che la Roma non debba fare scenate che tanto non portano a niente».

Immagino quindi che non le piacesse il comportamento di Mourinho.

«No, a me quell’aspetto non è piaciuto, anzi penso sia stato uno dei principali motivi del suo allontanamento. Credo che Mourinho si sia reso conto di essere arrivato in un posto dove la gente avesse bisogno di una personalità come la sua e di qualcuno che la difendesse davanti ai torti che ha subito storicamente e che a volte si sono dimostrati non delle esagerazioni da parte nostra, ma ben altro. Però quel modo di protestare è una strada sbagliata. Anche De Rossi protesta, ma lo fa nel modo giusto e soprattutto non sempre ma solo quando c’è bisogno. Daniele potrebbe fare anche il dirigente per la sua capacità dialettica e per la sua lucidità».

Liorni, ma se il genio della lampada le chiedesse di esprimere un solo desiderio: condurre il prossimo Festival di Sanremo o la Roma campione d’Italia 2024/25. Lei cosa sceglierebbe?

«Ah, questa è cattiva (ride, ndr). La conduzione del Festival sarebbe una bella soddisfazione professionale perché viene considerato come un coronamento della carriera di un conduttore, ma sarebbe una gioia singola mentre lo scudetto è una gioia collettiva. Perciò come potrei essere così egoista negando un sogno ad almeno un milione di persone? Quindi scelgo lo scudetto».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

CONSIGLIATI