Dal Parma all’Atalanta: quando la strada per l’Europa non passa da Roma
Nel 1994 l’Arsenal superò i ducali in Coppa delle Coppe e così svanì l’Europa per noi

Giannini in campo con la maglia della Roma

Quella del 1993 è l’ennesima estate in cui a Roma si alimentano speranze. In giugno la finale di Coppa Italia persa in modo beffardo è la nemesi di due anni vissuti pericolosamente, tra gravi problemi societari e risultati mediocri. Ora l’orizzonte sembra essersi diradato. Una presidenza con prospettive solide, l’acquisto del bomber Balbo e l’arrivo in panchina di Carletto Mazzone suscitano entusiasmo. Le difficoltà già incontrare l’anno precedente, tuttavia, si ripresentano minacciose. La Roma va male, a tal punto che una domenica di marzo serve che capitan Giannini lanci il cuore oltre l’ostacolo per siglare a Foggia la rete che scaccia lo spettro della retrocessione in B. Da quel momento un moto d’orgoglio s’impadronisce della squadra, la primavera risveglia energie nascoste e la Roma inanella una serie di risultati formidabili. La vittoria per 2-0 all’ultima giornata del campionato 1993/94 contro quello stesso Torino che ci aveva soffiato undici mesi prima, sempre sul prato dell’Olimpico, la Coppa Italia è il corollario di un’impresa che due mesi prima sembrava utopia: la Roma è a un passo dalla qualificazione in Europa.
Quel passo, però, non dipende più da noi: per accedere in Coppa Uefa, infatti, serve che qualche giorno dopo il Parma liberi un posto per le squadre italiane vincendo la finale di Coppa delle Coppe contro l’Arsenal. Il destino è ancora beffardo: il Parma perde di misura e quella di andare in Europa resta per noi un’impresa solo sfiorata. Trent’anni dopo potremmo trovarci in una situazione simile, con la nostra qualificazione in Champions appesa al risultato di una squadra italiana in una finale europea. Non sappiamo cosa ci riserverà il destino, dobbiamo però farci trovare pronti dinnanzi ad esso. Come la Roma del ‘94, un moto d’orgoglio deve muovere gambe, testa e cuore della squadra in queste due ultime partite rimaste. Perché quella bellezza di primavera di trent’anni fa non ci riportò in Europa, ma gettò il seme di una rinascita che, oggi come ieri, il popolo romanista agogna.
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