AS Roma

Tirabassi: "De Rossi un regista perfetto"

Parla l'attore: «Daniele la persona giusta nel posto giusto, spero il club lo aiuti a costruire una rosa adatta alle sue idee. La Juve il potere, noi sempre all’opposizione»

L'attore Giorgio Tirabassi in foto

L'attore Giorgio Tirabassi in foto (GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Alessandro Cristofori
05 Maggio 2024 - 08:59

«Per la Roma ho pianto due volte: a dieci anni quando Capello, Landini e Spinosi andarono alla Juventus e a cinquantasette quando ha smesso Totti. Sono emozioni che provi solo grazie al calcio». Giorgio Tirabassi, una carriera tra cinema, con film come Il Branco, L’odore della notte e Freaks Out, in tv dove ha interpretato il magistrato Paolo Borsellino e l’ispettore Roberto Ardenzi per la fiction “Distretto di Polizia”. Gli esordi in teatro con Gigi Proietti dove nonostante l’impegno in palcoscenico non smetteva di informarsi sui risultati della sua Roma, che segue con passione ancora oggi.

Tirabassi, qual è il suo Roma-Juventus preferito?

«Sono molto affezionato a quel gol di Totti da fuori area nel 2013. Io poi tendo a confondere le stagioni e gli episodi, ma tanto quando giochi contro la Juventus è sempre qualcosa di speciale, non sarà mai una partita come le altre. Recentemente ho visto il documentario sul gol di Turone che qualcuno ancora oggi si ostina a dire che fosse in fuorigioco e invece era buono davvero. Che poi nel riguardarlo adesso ho provato ancora più fastidio».

Perché?

«Perché è cambiato anche il modo da parte dello spettatore di vedere il calcio. Oggi siamo abituati al Var, alla tecnologia, ti fanno vedere le proiezioni in 3d e vengono annullati dei gol per dei millimetri, a volte impercettibili anche dai replay. Come fai ad accettare che tu, per una cosa molto più eclatante, ci hai perso uno Scudetto?».

C’è un calciatore che ha invidiato ai bianconeri? Mentre qual è quello che proprio non sopportava?

«Zidane era un calciatore fantastico da vedere. Tra quelli che non sopportavo devo sicuramente citare Nedved e anche Tudor, ma penso che ciclicamente ce ne siano stati tanti che non hanno attirato le mie simpatie. Poi indirettamente la Juventus mi ha fatto fare il primo pianto per la Roma».

A cosa si riferisce?

«Quando il presidente Marchini cedette Capello, Landini e Spinosi ai bianconeri nel 1970. La tristezza che provai nel pensare che questi tre calciatori non fossero più della Roma mi fece star male. Oltre a questo, c’era anche la beffa di vederli con la maglia di una storica rivale. Il trasferimento dei nostri giocatori in bianconero mi ha poi infastidito anche in futuro, mi è dispiaciuto per esempio vedere Szczesny andare a giocare con loro, per non parlare di Emerson. Non ho pianto perché non ero più un bambino anche se a dire il vero, pochi anni fa, mi è capitato ancora di lacrimare per la Roma».

Quando?

«Per l’addio di Francesco Totti, anche se queste furono lacrime dolci e non di rabbia come quelle del 1970.  Credo inoltre che nel cuore di ognuno di noi, già si cominciava a piangere nell’ultimo periodo quando avevamo capito che non lo avremmo più rivisto correre dietro ad un pallone. Mi ricordo quando giocava ancora nelle giovanili e si diceva che questo biondino era forte, altroché se lo fosse. Ogni tanto mi capita di rivedere degli highlights, ma quanto ci manca uno così? Manca tanto, proprio tanto».

Il motto bianconero è “Vincere non è importante ma l’unica cosa che conta”, tra quelli giallorossi spicca soprattutto il “Mai schiavi del risultato”. Questa sfida rappresenta anche uno scontro tra due filosofie diverse di vivere lo sport e la vita?

«Questo pensiero juventino è come quello che è molto ricco e va dicendo in giro che i soldi non fanno la felicità. Loro, per anni, si sono potuti permettere i calciatori più importanti e la storia ha dimostrato che avevano anche il potere di influenzare gli arbitri, per non parlare della vicenda doping, che non ha avuto le conseguenze che avrebbe meritato. Purtroppo, l’Italia è il paese che ha sempre convissuto con le ingiustizie e questo si è riversato anche sul calcio. La Roma, come altre squadre di opposizione, ogni tanto sono riuscite a vincere un campionato, ma nessuno si è poi confermato l’anno successivo, almeno in epoca recente. Sono sempre quelle tre squadre del nord a farlo. Come diceva Totti, avrebbero potuto organizzare un torneo tra loro a tamburella (ride, ndr)».

Qual è oggi il suo rapporto con la Roma?

«La mia prima partita fu un Roma-Atalanta 1-1 del ’65, avevo cinque anni. Poi a tredici  feci la tessera Junior Club e cominciai a frequentare la Sud. Crescendo, soprattutto negli anni ’80, ho dovuto allontanarmi un po’ perché il mio lavoro in teatro al fianco di Gigi Proietti mi impediva di essere presente tutte le domeniche, anche se cercavo di non perdermi nulla attraverso le cronache di Tutto il calcio minuto per minuto. Da adulto mi sono abbonato in Tevere, all’inizio andavo con mio figlio che poi ha iniziato ad andare da solo in Curva. Oggi la seguo dalla tv, ma mi emoziono sempre come la prima volta. Se c’è la Roma faccio in modo di non avere nessun impegno e se sto in teatro butto sempre un occhio in quinta dove mi tengono aggiornato sul risultato».

Lei nel 2019 ha debuttato come regista nel film “Il grande salto”. In un certo senso il grande salto lo ha fatto anche De Rossi da capitano ad allenatore. Qual è il suo giudizio sul tecnico?

«Dopo le prime settimane dal suo arrivo mi chiesero un pensiero e io, poiché spaventato che potesse bruciarsi, avevo detto che sarebbe stato meglio salutarsi a fine stagione per permettergli di andare a fare esperienza altrove. Invece adesso sono felicissimo che la società lo abbia riconfermato e non lo cambierei mai con nessuno. Ha un rapporto speciale con i calciatori, questo secondo me a volte è anche più importante dell’aspetto tattico. Da quando è arrivato lui i calciatori sono tornati al loro livello, mi riferisco a Pellegrini e Paredes in particolare. È bellissimo vederlo in panchina, ha inoltre portato una mentalità diversa, grazie alla quale anche se la partita va male sono più indulgente perché almeno vedi che la squadra ha proposto qualcosa. Con Mourinho invece...».

Non le piaceva?

«Ricordo partite dove mi sono fatto certi sonni. Adesso quando c’è la Roma sono felice, perché so che vedrò una bella partita, con il portoghese invece dicevo sempre “Ahia, stasera c’è la partita”.  Sapevo che avrei visto qualcosa che non mi sarebbe piaciuto. Poi uno è sempre coinvolto perché ama questi colori ma sono sincero, a me quel modo di giocare non piaceva mentre credo che Daniele sia la persona giusta nel posto giusto».

Con il Bayer Leverkusen è un discorso chiuso oppure come nelle migliori sceneggiature potrebbe esserci un grande colpo di scena?

«Ti rispondo pensando a quella serata con il Barcellona, perché la Roma ha anche queste serate strane dove sembriamo come in quei film di vampiri dove ti verrebbe da dire “esci da questo corpo”, nel senso che rasentiamo la fantascienza. Loro sono forti, lo abbiamo visto, ma a volte noi siamo capaci di qualsiasi cosa. Chissà, mi aspetto di tutto».

Cosa si augura per il futuro giallorosso?

«Mi auguro che si facciano acquisti e soprattutto cessioni giuste. Vorrei calciatori scelti dall’allenatore che sposino la sua filosofia di calcio. Ci sono già in rosa dei giocatori adatti, ma adesso che abbiamo capito le idee e la qualità del tecnico, cerchiamo di aiutarlo il più possibile. Sono ottimista perché in questi mesi De Rossi ha costruito qualcosa di importante con il gruppo, c’è molta empatia e si vede».

Nel 1996 ha interpretato Carletto nel film “Al centro dell’area di rigore”, la storia di un gruppo di tifosi romanisti che nel 1942, in piena Seconda guerra mondiale, parte da Roma per la trasferta che assegnerà il primo scudetto ai giallorossi. Come nacque questa idea e che ricordi ha di quel set?

«Fu un’idea dei due sceneggiatori e registi Bruno Garbuglia e Roberto Orano, entrambi molto bravi e anche romanisti sfegatati, tant’è vero che prima di fare qualsiasi provino mi chiesero se tifassi per la Roma e lo facevano anche con gli altri attori nonostante ci fossero anche degli stranieri, visto che era una coproduzione francese.  Di solito si dice sempre che ci si è divertiti molto a girare, ma bisogna dire che in questo caso è davvero così perché ci fu un bel clima. Eravamo molto contenti di raccontare un momento particolare del nostro Paese e anche della Roma. Era una bella storia, tant’è vero che la sceneggiatura vinse il Premio Solinas».

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