Ndicka, l’enorme spavento
Alle 19.27 Evan si accascia a terra. La Roma si ferma, la corsa in ospedale, poi la rassicurazione
Minuto 27 della ripresa, Evan Ndicka corre, poi si ferma, barcolla, c’è qualcosa che non va. Si porta le mani al petto, richiama l’attenzione dei compagni, De Rossi dalla panchina non capisce, allarga le braccia e chiede spiegazioni, crede sia una botta, vuole capire se deve procedere al cambio o no. Passa appena un minuto e con la Roma in possesso palla Ndicka si siede, prima di sdraiarsi, sempre con le mani sul petto. Angeliño e Svilar sbiancano, la situazione è seria. E così, in un attimo, il pomeriggio di festa del Bluenergy Stadium diventa il teatro del terrore, della paura, di terribili scene già viste, dove il pensiero corre verso lo scenario più atroce, e il tempo si ferma, come cristallizzato. Il festante sold out dell’impianto friulano da chiassoso si fa silente, si ammutolisce in così poco tempo da far venire la pelle d’oca. La nostra radiocronaca si ferma, non ci sono più azioni da raccontare: gli occhi sono tutti rivolti sull’ivoriano a terra. Svilar e Pairetto si sbracciano, il segnale è rivolto ai sanitari, che forse non hanno colto l’assoluta necessità di intervento. Poi arrivano e dopo qualche secondo che sembra infinito la barella lo porta via, lo stadio si scioglie in un fragoroso applauso, mentre la sagoma di Ndicka esce dalla visuale dei più. Sono le 19.27 (come uno strano segno del destino) e inizierà un racconto che di calcistico, purtroppo, non ha nulla.
Gli attimi di paura
Ndicka lascia il campo, ma in quel momento, mentalmente, anche la Roma lo abbandona. Cioffi chiede ai suoi di tenere caldi i muscoli, Dybala e Angeliño palleggiano, Pairetto attende di poter riprendere la gara. Ma gli occhi di tutti sembrano rivolti alla mimica di chi è rimasto in campo, alla preoccupazione sui volti dei giocatori. De Rossi parla e cammina nervosamente, Mancini e Pellegrini scrutano verso gli spogliatoi dove è stato portato il giocatore, Spinazzola si tiene il volto tra le mani dalla preoccupazione. La Roma in campo non c’è più. Poco dopo De Rossi comunica a Pairetto e Cioffi la decisione di non proseguire l’incontro: l’annuncio dello speaker, di seguito al triplice fischio dell’arbitro, sancisce la fine del film della gara, ma parallelamente ne comincia un altro dai toni ben più drammatici. Uno dei dottori che ha soccorso Ndicka rientra negli spogliatoi pronto all’utilizzo di un defibrillatore, ma non ce ne sarà bisogno. Eppure gli esiti del primo elettrocardiogramma non sono affatto rassicuranti, da lì la decisione di trasportarlo immediatamente presso l’Ospedale Santa Maria della Misericordia. Ndicka arriva in codice giallo, sempre cosciente e stabile. Inizia una serie di accertamenti volti a conoscere la causa del malore e a scongiurare scenari fuori controllo. Nel frattempo la squadra raggiunge l’ospedale per non far mancare il supporto al proprio compagno. Sono le 20.45.
Il colloquio con DDR
Come da prassi, Ndicka si sottopone all’esame degli enzimi cardiaci: solitamente quello più usato per diagnosticare tempestivamente un infarto cardiaco è la troponina, perché più sensibile e specifico. L’esame dà esito negativo e scongiura quindi l’ipotesi dell’arresto cardiaco. L’attenzione si sposta poi sul colpo ricevuto a metà primo tempo da Lucca, una gomitata in pieno petto che Ndicka aveva incassato in maniera molto dolorosa. La possibile diagnosi di “pneumatorace”, ovvero la presenza di aria nello spazio pleurico che può provocare un collasso parziale del polmone, non trova conferme. Di certo, causando difficoltà respiratoria e alterazione dell’elettrocardiogramma, era di certo una casistica da approfondire. Sembrano convinti di questo Rui Patricio e Lukaku che a più riprese mimano ai compagni il gesto delle gomitata ricevuta da Ndicka: «At least three times» (almeno tre volte), ne è convinto il belga mentre mostra la dinamica a Abraham. La squadra parla sottovoce, tutta riunita nel piazzale antistante all’accettazione dell’ospedale. Nel frattempo, prima di sottoporsi alla Tac, Ndicka riceve la visita di De Rossi, capitan Pellegrini e della CEO Souloukou. L’ivoriano li rassicura, si sente bene e il peggio sembra essere alle spalle. Tutto quello che società, allenatore e squadra volevano ascoltare. L’animo si fa più leggero, qualcuno esce dalla porta principale, raduna il gruppo e fa un resoconto della situazione. Zero domande, tutti in silenzio ad ascoltare gli aggiornamenti. Poi il dietrofront verso il bus che li aveva portati in ospedale, rotta verso l’aeroporto di Trieste per fare rientro nella Capitale. Sono le 21.15. La situazione sembra finalmente sotto controllo, è tempo di aggiornare tutti i tifosi della situazione con una nota diffusa attraverso i social: «La squadra ha fatto visita a Ndicka in ospedale. Evan si sente meglio ed è di buon umore. Resterà in osservazione per accertamenti in ospedale. Forza Evan!». Sono le 22.05, quasi tre ore dal malore in campo la giornata romanista volge al termine con un enorme sospiro di sollievo.
Daje Evan
L’ivoriano, ovviamente, ha trascorso la notte a Udine. Oggi, come già detto, conoscerà gli esami della tac, altri approfondimenti verranno ripetuti con l’intenzione di risalire alle cause che hanno portato all’enorme spavento. Con lui anche il professor Manara, vigile e presente sin dai primi minuti del malore. Inutile e dannoso, eticamente parlando, affrettare tempistiche e ipotizzare gli sviluppi delle prossime ore. De Rossi e la squadra non vedono l’ora di riaverlo a disposizione, qualcuno spererebbe già con il Milan, altri, forse più saggiamente, chiedono cautela e tempo. Auguriamo a Evan di tornare protagonista in campo, nel cuore della difesa della Roma dove si è meritato di stare, con sacrificio e dedizione, superando le iniziali difficoltà di ambientamento. E proprio nel momento più difficile, l’ivoriano ha trovato la conferma più bella: quel senso di famiglia che non lo ha mollato nemmeno per un attimo. Uno per tutti, tutti per uno. Questa è la Roma. Evan lo sa bene.
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