Pinto: "L'addio di Mou? Giorno difficile per tutti. De Rossi mi ha chiesto di restare"
Le parole del portoghese a Sky Sport "Daniele è una persona spettacolare. Dopo Budapest ho pensato di aver raggiunto il limite. Dybala sta bene a Roma"
Su Sky Sport è andata in onda questa sera alle 20.30 l'intervista esclusiva che Tiago Pinto ha rilasciato a Gianluca Di Marzio. L'ex Gm giallorosso ha parlato della sua esperienza a Roma, soffermandosi anche sull'esonero di Mourinho, i colpi di mercato realizzati durante i suoi tre anni di gestione, le difficoltà del Fair play finanziario, la finale di Budapest e l'arrivo di De Rossi sulla panchina del club. Di seguito l'intervista integrale.
Ciao Tiago, come stai? E come si sta senza la Roma?
"Adesso sto cercando di riposarmi un po' dopo questi tre anni, cerco un po' di tranquillità e pace. Quando arriveranno le prossime sfide devo essere preparato, motivato e carico, quindi ora devo riposarmi".
Iniziamo dal presente: la Roma è in piena corsa per la Champions League e ai quarti di Europa League. De Rossi ha avuto un grande impatto sia sul piano tecnico sia su quello ambientale. Qual è il tuo pensiero su questo momento? Hai il rimpianto di non aver fatto prima questa scelta?
"La prima cosa che vorrei dire è che è un piacere fare questa intervista, anche se in tre anni è la seconda intervista che faccio. La prima intervista internazionale che ho fatto l'ho fatta con te ed è stato un segnale perché non potevo immaginare che sarei venuto a lavorare a Roma. In quell'intervista tu mi hai chiesto qual era il mio giocatore preferito, risposi che erano Dybala e Ibrahimovic. Mi fa piacere fare questa intervista e devo riconoscere che Sky è un'istituzione che rispetta il calcio, l'Italia ha bisogno di questo tipo di istituzioni e questo va detto. Sono contento dei risultati della Roma e dei giocatori. Sono contento e penso che la squadra stia giocando bene. Per far bene il mio lavoro devo sentire affinità e allineamento, motivazioni e carica. Non lavoro senza queste emozioni e passioni. Tre anni a Roma ti portano a un determinato livello di stanchezza, in questo momento la Roma meritava una persona come il Tiago Pinto dei primi anni. Non ho rimpianti, sono contento di vedere quello che sta facendo la squadra".
Anche perché è stato forse rivalutato il lavoro che avevi fatto sul mercato, oggi c'è la consapevolezza che la Roma sia più forte rispetto a quando te ne eri andato via.
"Questi risultati, anche grazie al turnover, fanno sì che tutti siano convinti che la Roma è una buona squadra, con dei buoni giocatori. Ma non vorrei sfruttare questo momento positivo per dire che ho fatto tutto bene e che sono bravo, ma penso che a Roma abbiamo bisogno di questo equilibrio. Le valutazioni sui giocatori vanno fatte a medio termine".
E' vero che De Rossi ti ha chiesto di restare appena è arrivato?
"Sì, noi avevamo un buon rapporto anche prima che arrivasse a Trigoria. Lui ha capito come sono fatto io come direttore e come persona. Non che sono bravo o scarso, ma che sono una persona leale che dà una mano agli allenatori e che lavora tanto. E' normale magari lo avrebbe aiutato in termini di stabilità la mia permanenza, ma lui sapeva che, pur potendo contare su di me fino alla fine, la mia decisione era presa e non sarebbe cambiata".
Quel giorno, Mourinho ha salutato la squadra e te?
"Quello è stato un giorno molto difficile per tutti. Io sono ancora giovane, non so se i direttori sportivi più anziani, con più esperienza, gestiscono in modo diverso. Io nel momento in cui si deve licenziare un allenatore muoio. Se arrivi a esonerare un allenatore significa che qualcosa di sbagliato l'hai fatto anche tu. Tutto quel che successe quel giorno per me conta poco, perché le emozioni e l'ansia sono molto grandi e quindi ci sono delle cose che diciamo e che facciamo, da ambo le parti, che non rappresentano ciò che è stato il rapporto per due anni e mezzo".
Del conflitto tra te e Mourinho se n'è parlato tanto, dicendo che avevate due pensieri diversi. Ma dopo Genoa-Roma chi ha salvato Mourinho dall'esonero sei stato tu. E' vero o è successo altre volte?
"Mourinho sa che per due anni e mezzo sono stato un soldato. Ogni tanto la pensavamo diversamente, è vero che anche nel nostro rapporto, soprattutto durante il mercato, c'è stato del casino, come succede sempre tra allenatore e direttore sportivo. Ma lui sa perfettamente che io sono stato sempre leale a lui, alla società e al progetto. Io penso che succedono tante cose nella stagione di un club, quindi quando le cose non vanno bene ci sono delle valutazioni da fare. Ma tutte le decisioni che sono state prese non sono state prese soltanto da Pinto, ma da tutti. Quindi dopo Genoa è andato allenare la squadra e abbiamo vinto anche diverse partite di fila".
I giocatori sono arrivati condividendoli tutti con l'allenatore o c'era qualche giocatore che Mourinho non voleva?
"Nessun giocatore è arrivato a Roma senza che lo sapesse Mourinho, ma ovviamente sarei un bugiardo se dicessi che tutti i giocatori che sono arrivati erano una prima scelta del club. Non è così. Lui sapeva quali erano i giocatori che potevamo prendere. Il processo di reclutamento della Roma è sempre stato lo stesso, non c'è mai stato un giocatore scelto dalla società, uno da Mourinho e uno dallo scouting. Nessun giocatore che è arrivato è stato rifiutato da Mourinho, ma ovviamente ci sono giocatori che voleva e che non sono arrivati. Quando andrò in Portogallo, io e lui ci dovremo vedere".
Orgoglioso di aver portato a parametro zero Dybala e Svilar?
"E' una buona domanda. Portare Dybala mi ha fatto felice, ma sono orgoglioso di aver preso tre giocatori a parametro zero che oggi valgono in totale 100 milioni di euro magari. Guardi Svilar e dici "è stato un buon lavoro". Penso che con tutte le limitazioni che abbiamo avuto, oggi guardi la Roma e noti questi giocatori che, presi a zero, ora hanno un mercato. Poi hai i grandi giocatori come Paulo, ma anche quelli che abbiamo rinnovato. Sono andati via Roger e Nicolò, ma non abbiamo perso gli altri. Ci sono Mancini, Pellegrini, Cristante. Non voglio essere egocentrico, ma sono molto felice del momento che Svilar sta vivendo. Abbiamo fatto tutto il percorso al Benfica insieme. Ha sofferto ed è cresciuto tanto, sono sicuro che sarà uno dei migliori portieri del mondo".
Cosa è successo dopo la finale di Europa League persa a Budapest?
"Quello che mi ricordo è che è stato umanamente difficile gestire quelle 48, 72 ore successive alla sconfitta. Senti che era una finale che non dovevi perdere, senti l'ingiustizia. E magari esce fuori il peggio di noi stessi: la tristezza, l'amarezza, il conflitto. È stato l'unico giorno della mia carriera in cui ho sentito l'impatto fisico sulle mie emozioni, perché eravamo morti dopo la convinzione che potevamo farcela e dopo aver giocato una grande partita. Vincere e perdere tante volte è un dettaglio, quella finale poi è diventata polemica per le decisioni arbitrali.
E' dopo quella partita che hai deciso di andartene?
È stato un momento cruciale per me. Dopo 72 ore giochiamo contro lo Spezia una partita fondamentale e si infortunia Tammy. Sapevamo che lo avremmo perso per tanto tempo, in più dovevamo pensare al problema del settlement agreement. Forse è stato in quel momento che ho preso la decisione di andare via, anche se poi abbiamo fatto un buon mercato estivo".
Il merito più grande è stato fare tutte quelle cessioni per rispettare i paletti del Ffp? E l'errore più grande qual è stato?
"Penso che ci sono stati acquisti che dopo non si sono rivelati funzionali, come Shomurodov e Renato Sanches. Io non vedo il mercato come una competizione dove vince chi ci azzecca di più. Una società di calcio sviluppa i giocatori, per questo io ho sempre detto che il mercato rappresenta soltanto un 30% del lavoro mentre il resto è ciò che fai nel quotidiano. Molti hanno ringraziato Rui Patricio per la Conference, mentre oggi dicono che deve andare via. Io ho un principio che ho imparato al Benfica: come DS dobbiamo cercare di non perdere due volte. Quando prendi un giocatore, prendi un giocatore che vale qualcosa tecnicamente e vale qualcosa economicamente. Io quello che cerco di fare è che se il giocatore non va bene sul campo, cerco di non far perdere alla società quello che ha investito. Esempio: Matías Viña, 44 partite alla Roma, non è andato come ci aspettavamo ma siamo arrivati alla fine con il prestito al Bournemouth e poi la vendita. Magari, economicamente, non abbiamo perso. Altra cosa che avrei dovuto gestire in modo diverso. Ho avuta tanta voglia di fare tante cose diverse; forse anche io avrei dovuto dire: “tutto questo non è possibile”, è difficile mettere tutte queste cose insieme. Ridurre il monte ingaggi, portare i primavera in prima squadra, prendere i grandi giocatori, vincere, essere compliant nel settlement agreement. E’ difficile mettere tutte queste cose insieme, ma la nostra ambizione era talmente grande che, magari per un po' di mancanza di esperienza, ho pensato di poter fare tutto".
Riconfermeresti De Rossi se fossi ancora il direttore della Roma?
"Non possono mettermi in quei panni, ovviamente Daniele sta facendo molto bene; è una persona spettacolare. Mi ha sorpreso la consapevolezza che lui ha di quanto costa essere allenatore. Ogni tanto quando tu conosci questi grandi giocatori che dopo vogliono essere allenatori non sono preparati per le cose negative, lui è il contrario. Lui vuole fare questo lavoro e lui ha portato la squadra su, sta facendo benissimo. Penso sia nei risultati che nella valorizzazione dei giocatori sta facendo benissimo, quindi adesso la decisione spetta a loro".
Faresti il direttore in un altro club italiano?
"Sì, ovviamente non in tutti! Alla Lazio non potrei andare e loro non mi vorranno di sicuro, ho imparato tanto in Italia e ho avuto il piacere da tanti direttori sportivi, oggi posso dire di essere amico di grandi direttori come Ausilio, Massara, Giovanni Rossi, come il mio grande amico Pantaleo Corvino. Quindi non si sa mai, un giorno forse tornerò a lavorare in Italia".
Parlavi di Dybala in quella famosa intervista che facemmo, ora i tifosi devono preoccuparsi? Lo prenderai nel tuo futuro club?
"Se succede poi non posso tornare a Roma! No, io penso che Paulo sia un bambino d’oro. Grande giocatore e grande persona, Non nascondo che prima di conoscere Paulo avevo una grande ammirazione come giocatore ma come persona ancora di più. E’ un bambino d’oro, spettacolare, secondo me è molto felice a Roma e penso io che la città e i tifosi lo hanno reso felice, adesso il futuro non lo so".
Come vorresti essere ricordato tra qualche anno?
"Mi piacerebbe essere ricordato, per i tifosi, come un direttore che ha sempre messo la faccia, si è sempre preso la responsabilità. Ma ancor più importante per me è il rispetto delle persone con cui ho lavorato, nel club ho trovato di tutto, ma ho trovato una famiglia, persone che hanno lavorato tanto. Ufficio stampa, dipartimento medico, fisioterapisti, settore giovanile, il femminile, tante persone che lavorano con passione per il Club e quello che vorrei è che fossi ricordato come una persona giusta".
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