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De Rossi è già un grande? Anatomia di un fenomeno

Si è assunto le responsabilità per quel primo tempo, ma poi ha corretto il tiro. E il suo stile d’allenamento sta conquistando tutti

Daniele De Rossi in panchina allo Stirpe contro il Frosinone

Daniele De Rossi in panchina allo Stirpe contro il Frosinone (GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Daniele Lo Monaco
20 Febbraio 2024 - 08:38

Overthinking. È una parolina semplice che gli studiosi più accurati del calcio di Guardiola - non quelli superficiali che ci hanno messo cinque anni per imparare l’espressione tiki-taka e da allora la associano a Pep, ignorando magari il fatto che quando se ne sono accorti il fenomeno si era già esaurito da tempo e aveva già conosciuto un’evoluzione - hanno ipotizzato come sia l’unica vera pecca dell’allenatore spagnolo: quella di pensare troppo. Al terzo anno del suo Barcellona, dopo aver guidato la squadra più bella del mondo in due stagioni praticamente perfetta, non si accontentò di quello che aveva costruito ma provò ad immaginare un calcio fatto di soli centrocampisti e attaccanti, e il suo Barcellona invece di migliorare fece un passo indietro. Successivamente si inventò una formazione stranissima in finale di Champions e lasciò il trofeo al Chelsea di Tuchel. Dentro la costruzione di qualche progetto, dopo aver azzeccato centinaia di decisioni, è stato insomma capace di chiedere sacrifici difensivi a svolazzanti trequartisti o proiezioni offensive a rudi marcatori, a volte mettendoli in difficoltà. Se, insomma, l’uomo che ha cambiato per sempre il mondo del calcio può avere un difetto è l’overthinking: pensa troppo. A volte bisogna sapersi accontentare di aver trovato una formula giusta, senza dover per forza sperimentare ogni volta qualcosa di diverso nel timore che l’avversario possa aver capito a quale gioco stai giocando. Se, per tornare a cose nostre, si deve dare una responsabilità a Daniele De Rossi per il pessimo primo tempo di Frosinone viene da pensare che abbia ecceduto nei pensieri. Quel 4231 tentato, per sua stessa ammissione, un po’ troppo in fretta ha tolto alla sua squadra qualcuna delle certezze che cominciava a maturare e ha esposto la difesa inedita ad un lavoro che ha svolto con fatica, rischiando di capitolare più volte e, di conseguenza, di mettere in discussione una vittoria che classifica alla mano, si è dimostrata fondamentale per mantenere viva la speranza di occupare uno dei posti buoni per la Champions League, che siano quattro o cinque. 

Le scelte di Frosinone
Queste, in sintesi, le sue scelte allo Stirpe: quattro attaccanti senza peraltro particolari compiti difensivi, o comunque svolti malissimo (vedi ad esempio una delle grafiche accanto), due centrocampisti di cui almeno uno (Cristante) in condizioni fisiche non ancora ottimali, e comunque esposti alla brutta figura di dover tappare i buchi troppo larghi per la loro mobilità e in ogni caso sempre in inferiorità numerica rispetto alle veloci rotazioni alle quali sono ormai abituati i ragazzi di Di Francesco. Azmoun nel ruolo di trequartista con compiti di prima schermatura per il regista avversario (altro compito non facile visto che nella funzione si alternavano Mazzitelli e Brescianini) andava spesso fuori giri, Lukaku provava a coprire inutilmente troppi metri di campo e il risultato alla fine era lo stesso: dietro la linea dei quattro attaccanti si aprivano voragini difficili da chiudere. E dietro Huijsen era troppo compassato per garantire il ritmo necessario all’impresa e Kristensen sempre troppo frenato dalle sue ridotte capacità tecniche. Solo Mancini reggeva botta mentre Angeliño aveva a che fare con nuovi compiti (tipo quello di far partire l’impostazione dall’anomala posizione da centrale, lasciando Huijsen sulla fascia) studiati appositamente per liberare le sue capacità tecniche. E per fortuna che ci ha pensato Svilar a respingere le insidie dei padroni di casa tenendo la Roma in carreggiata fino alla strepitosa conclusione proprio di Huijsen che ha portato la Roma in vantaggio.

Le perfette correzioni
Da lì il compito è stato sicuramente più facile anche perché De Rossi all’intervallo è tornato sulle sue posizioni prendendosi altre responsabilità: tipo togliere Lukaku (anche questo un inedito) per lasciare Azmoun al centro dell’attacco, e reinserire Llorente, obbligato in questo caso dall’ingenua reazione del gioiellino olandese dopo il gol. Rimesso Pellegrini nel ruolo naturale di mezzala sinistra e riequilibrata la squadra con un 433 più razionale e privo di fragilità dovute magari all’inesperienza, la Roma si è ritrovata come d’incanto e la partita è completamente cambiata, le sgroppate dei purosangue di Di Francesco si sono all’improvviso diradate, il palleggio romanista ha riequilibrato il possesso del pallone e la Roma si è presa la partita con l’autorevolezza che aveva mostrato in quasi tutte le partite precedenti. «Ho fatto qualche casino io», ha detto con lodevole umiltà l’allenatore della Roma al termine della partita. Eppure, nonostante il casino, ai giocatori deve aver chiesto qualcosa di diverso, altrimenti non si spiegano le urla che già sul campo (al gol di Huijsen) e poi negli spogliatoi (come hanno testimoniato diversi inservienti dello stadio Stirpe) ha cacciato, tali da impressionare anche i suoi vecchi compagni di squadra.

Anatomia di un fenomeno
E proprio quelle urla indicano un’altra realtà di cui si può già prendere atto: chi infatti rimpiangeva Mourinho soprattutto sotto la prospettiva dell’uomo che sapeva usare anche il bastone oltre alla carota si sta rendendo conto che entrando nello spogliatoio della Roma con la tuta dell’allenatore Ddr ha lasciato fuori la testa da giocatore, o comunque la usa solo per non commettere errori che a lui da giocatore davano fastidio (tipo quello di non prendersi mai una responsabilità di fronte alle telecamere). Ma se deve richiamare alle responsabilità i suoi ragazzi, anche i suoi vecchi compagni di squadra, non si fa troppi scrupoli, salvandoli magari nelle considerazioni con la stampa.

Altri aspetti che non vanno trascurati: non si fa ritiro, ma in trasferte di 100 chilometri tipo Frosinone si parte tutti insieme in pullman il giorno stesso della partita, il riscaldamento si fa tutti insieme (in campo allo Stirpe c’erano tutti e
  25 i giocatori, ma gli spazi sono stati occupati razionalmente), ogni allenamento è differente dall’altro e, dicono, anche molto divertenti, anche quando si deve lavorare tanto sotto il profilo fisico. In più i giocatori sono stati davvero tutti considerati: da Lukaku (495 minuti giocati dei 540 totali) a Smalling (8) sono già 23 i romanisti utilizzati in queste prima sei partite ufficiali della gestione De Rossi. E i risultati sono decisamente già dalla sua parte tanto che a Trigoria stanno già decisamente ragionando sul futuro: che la Roma abbia trovato il suo allenator futuro?

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