L'ultimo degli indiani
Gli amori, gli affetti, gli amici, la passione per la musica e per la Roma. A salutare il decano dei cronisti radiofonici tanta gente commossa e i fumogeni dei ragazzi della Sud
C’erano i tuoi ragazzi là fuori, i ragazzi del Commando Ultrà Curva Sud, Ale, Vittorio, Tonino e gli altri, ora magari un po’ cresciuti, ma che comunque a distanza di anni sanno riconoscere un fratello. Tu eri uno di loro, caro Alberto, e ti piaceva stare con gli indiani. Anzi, nella tua testa l’indiano era proprio quello del Cucs, quello dell’adesivo, chi non ce l’aveva attaccato sul diario o, più cresciuto, su quella cartella da lavoro? Il coro per te è nato da loro, mentre la bara scendeva le scale della chiesa del Sacro Cuore Immacolato di Maria di Piazza Euclide, avvolta da fumogeni gialli e rossi, come ti sarebbe piaciuto, come è piaciuto a tutta la piazza che ha preso a gridare il tuo nome, a battere le mani, ad asciugarsi gli occhi bagnati dalle lacrime. Subito dietro di te c’erano Lilli, tua moglie, e Michele, tuo figlio, con tua nuora, provati dal dolore eppure dolcemente colpiti per l’enorme manifestazione d’affetto ricevuto.
C’era tanta gente, Alberto, ieri mattina a darti l’ultimo saluto. C’erano diverse figure della Roma che è stata e della Roma che è. C’era Rosella Sensi, e poi Maurizio Cenci, Stefano Desideri, Angelo Di Livio, Sebino Nela, Dodo Chierico, Fabio Petruzzi, c’erano tanti amici dell’altra sponda, se possibile ancora più straziati di aver perso l’amico di mille risate, da Sergio Brio a Bruno Giordano da Massimo Piscedda a Michele Plastino, da Toni Malco a Pino Capua. Il figlio di Pino, Vincenzo, ha letto a nome di Michele una bellissima lettera dedicata a te, al suo papà. C’era dentro la tenerezza di quel viale che porta all’entrata dell’Olimpico attraversato a larghe falcate mano nella mano e le 1000 interruzioni di chi da te voleva una parola e ne riceveva 100 in cambio. C’era la bellezza delle tue giornate allegre, dei tuoi amici musicisti (c'era anche Renato Zero in chiesa), della radio (ce n'erano tantissimi), della Roma, ieri rappresentata (per l’ultima volta) da Luca Pietrafesa che ti ha portato il cordoglio con parole non di circostanza della società. C’era la tua famiglia, i tuoi amici e tutte le persone che ti volevano bene e scusaci se in cambio di tutti quei sorrisi che abbiamo ricevuto, ieri non siamo stati in grado di restituirtene nemmeno uno.
Ha avuto belle parole per te anche Guido D’Ubaldo, cronista ma ieri in veste di presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio, che ha chiuso con un monito dedicato a tutti gli aspiranti colleghi: «Prendete esempio da Alberto Mandolesi». Tutti noi, chi più chi meno, lo abbiamo fatto. Tutti noi abbiamo cercato di parlare della Roma col sorriso tra le labbra. Noi che ti abbiamo ascoltato, apprezzato e abbracciato almeno una volta nella vita. Tutti noi che abbiamo perso un fratello maggiore (beh, sì, eri un bel vecchietto, ma sempre in forma: e se ti capitava la palla giusta sulla testa ancora la mettevi dentro) che poteva rallegrarci la giornata con una semplice battuta. Per poi salutarci con quel ciao che aveva sempre una nota più acuta nell’ultima vocale. Non era mai chiuso, il tuo ciao. Conteneva sempre un germe del futuro rivederci. Solo ieri abbiamo dovuto chiudere quella vocale. È il dolore più forte che ci portiamo dentro, amico caro.
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