Sul livello dei migliori: De Rossi merita tempo
Il primo quarto d’ora della ripresa ha mostrato (bene) le lacune. Su quelle lavorerà il tecnico che però ha già fatto vedere che Roma può diventare
Quante cose confortanti dentro la stessa partita contro la prima della classe. Quante cose su cui riflettere per provare davvero a spiccare un salto di qualità pensando al futuro della Roma targata Daniele de Rossi, uno che merita di avere tutto il tempo necessario per (ri)costruire una squadra in grado di puntare al vertice della Serie A. La sfida con l’Inter è stata un’occasione persa, se ci limitiamo a valutare il risultato oggettivamente ingeneroso (basti guardare il numero degli expected goal: 1.01 a 1.24). Come ha correttamente sottolineato l’allenatore della Roma al termine della partita, dopo una sconfitta non è mai il caso di consolarsi frettolosamente. Meglio sottolineare le cose che non vanno e far tesoro degli errori commessi. Ma ogni allenatore che si trovi alla quarta partita sulla panchina di una squadra sa che il cammino è ancora lungo e che non bisogna lasciarti abbindolare dall’impostore dell’entusiasmo, per le tre vittorie consecutive e mezza, né da quell’altro impostore del disfattismo, per quel quarto d’ora regalato all’avversario.
Il terribile avvio di secondo tempo
Partiamo proprio da qua: che cos’è accaduto all’inizio del secondo tempo che ha fatto all’improvviso cambiare l’inerzia di una partita che la Roma nel primo tempo sembrava poter controllare persino con disinvoltura? Il calcio è da sempre un fenomeno multifattoriale, così non si può pensare che siano bastate un paio di accelerazioni degli ospiti per mettere realmente in difficoltà la squadra giallorossa. Semmai ha avuto un effetto dirompente la concausa del progressivo disimpegno romanista di fronte al tambureggiante approccio interista. La Roma ha concesso troppi spazi all’improvviso non perché Inzaghi ha chiesto all’intervallo di insistere sugli esterni tenendoli più larghi, ma perché ha allentato le pressioni e commesso diversi errori tecnici. Il linguaggio del corpo di molti giocatori ha denunciato sin dall’inizio qualche disagio emergente (l’incapacità di tenere lo stesso ritmo del primo tempo, il conseguente stress, la stanchezza e la pioggia che si “avvertono” all’improvviso) e lo spessore differente tra le due squadre ha fatto il resto: da una parte c’era l’Inter che cercava la rimonta cementando il tentativo nella sua esperienza di squadra passata attraverso 1000 battaglie, dall’altra l’improvvisa fragilità di un’altra squadra che sta cercando una nuova dimensione, ma non l’ha ancora raggiunta. Il resto l’ha fatto la qualità degli interpreti, con il palleggio continuo e raffinato su un terreno via via più scivoloso, con i giocatori della Roma incapaci di reggere il passo: solo di Karsdorp si sono contati quattro errori tecnici gravi ravvicinati. E forse non è un caso se dopo 15 minuti del secondo tempo Cristante (che ha dovuto coprire lunghissime zone di campo per difendere alle spalle di Dybala) e Angeliño (non ancora al meglio) abbiano alzato bandiera bianca arrendendosi all’evidenza di una partita all’improvviso così complicata.
L’errore frustrante di Lukaku
Usciti dal quarto d’ora terribile i giallorossi hanno piano piano ritrovato la propria strada, aiutati, anzi, tenuti per mano, da un allenatore che in panchina sa già come muoversi e ha saputo fornire nuovi impulsi puntando tutto sulla freschezza di menti non ancora intossicate dalla paura. Così si spiegano i cambi prima di gestione (Bove e Spinazzola al posto degli stanchi titolari) e poi di rivoluzione, Zalewski e Baldanzi per Pellegrini ed El Shaarawy, a disegnare un 4231 asimmetrico (Dybala non ha mai fatto l’esterno alto di destra) che però ha sortito l’effetto sperato, quello di tenere più bassa l’Inter nella propria metà campo. E se quel magnifico di pallone di Pellegrini fosse stato trasformato da Lukaku nel gol del tre a tre sarebbe nata un’altra partita ancora e gli elogi per la Roma si sarebbero sprecati. E invece il belga ha fallito l’occasione di scacciare dalle sue spalle la scimmia del pensiero piuttosto diffuso di non saper imporre il proprio marchio alle partite che contano.
Ma De Rossi merita tempo
A confortare De Rossi la valutazione che difficilmente nelle prossime gare ci saranno di fronte squadre così rodate sotto il profilo tattico e di così alto livello tecnico e ciò che è stato fatto contro l’Inter porterà tanti punti nelle partite che verranno. Sarà dunque importante insistere su quei concetti che sono emersi così plasticamente nel bellissimo primo tempo che aveva illuso tutta Roma. La summa del suo calcio sta in quell’azione concretizzata da El Shaarawy dopo neanche un minuto di gioco con una tripla verticalizzazione passata per Cristante, Pellegrini e Dybala, fino al taglio di Lukaku troppo lungo, tale comunque da portare ad una nuova soluzione con lo scarico per El Shaarawy che di destro ha severamente impegnato Sommer. Fino al gol di Acerbi, piuttosto casuale nello sviluppo e nella sua definizione (ma su cui Huijsen può rimproverarsi qualcosa, ne parliamo in grafica), la Roma aveva dimostrato di aver già imparato in così poco tempo da De Rossi come gestire il pallone della metà campo avversaria, come evitare di schiacciarsi di fronte al palleggio altrui, come essere efficaci nello sviluppo di una manovra senza dare mai punti di riferimento all’avversario. E anche dopo il gol del vantaggio nerazzurro la Roma ha ripreso il suo passo incessante, costruendo a tre, con Paredes spesso in regia tra i due centrali, e difendendo a cinque, con El Shaarawy chiamato ad allinearsi a sinistra per non concedere troppo spazio alle iniziative sulle fasce studiate da Inzaghi.
Il giochino ha funzionato tanto che nessuno si è stupito per il risultato a vantaggio della Roma alla fine del primo tempo. Belli da vedersi sono stati i meccanismi che hanno portato ad uno sviluppo sempre originale tra le rotazioni dei centrocampisti e gli scambi di posizione in virtù delle funzioni da non perdere. Così più volte si è visto ad esempio Angeliño entrare dentro il campo quando Pellegrini si apriva a sinistra, Paredes scambiarsi la posizione con Cristante e Karsdorp alzarsi fino ad arrivare sul fondo mentre in mezzo Lukaku, Dybala ed El Shaarawy cercavano in continuazione di attaccare gli spazi incrociando le corse e togliendo punti di riferimento agli avversari. Un’orchestra sinfonica che nel primo tempo ha suonato a perfezione e che per un po’ ha perso la sacra sintonia corale. Ma il potenziale c’è tutto e De Rossi merita di poter lavorare con una prospettiva che non si esaurisca tra quattro mesi.
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