Mourinho e De Rossi: in media stat virtus
Diverse strategie comunicative. Ma con entrambi le gare iniziano prima
Se non è rivoluzione, poco ci manca. Ai microfoni ancora più che in campo, fra i regni di José Mourinho e Daniele De Rossi sembra trascorsa un’era geologica. Che sia frutto di strategie o semplicemente di personalità differenti, lo scopriremo solo vivendo. Ma nessuno può negare che almeno per il momento gli approcci comunicativi siano agli antipodi. Più bastone che carota per il portoghese nell’ultima fase (anche se le coccole ai suoi non sono mancate in precedenza); continuo ricorso alla consapevolezza e alla fiducia nei propri mezzi per l’italiano. Il tempo trascorso da ciascuno dei due sulla panchina resta però un fattore che non può essere tralasciato nell’analisi: i tentativi di stimolare un gruppo dopo due anni e mezzo sono necessariamente differenti da quelli che si possono utilizzare in tre settimane di lavoro. Dovendo peraltro anche dare l’idea di cesura col recente passato, per trovare la chiave più efficace a sbloccare una squadra apparsa troppo a lungo impantanata.
Del Mou maestro di comunicazione è stato raccontato tutto o quasi, ogni sua sillaba è stata sviscerata e setacciata, spingendosi a volte anche oltre le sue reali intenzioni. DDR allenatore è invece una novità assoluta, quantomeno ad alti livelli. Ma il suo eloquio non è inedito a queste latitudini. Il ventennio da bandiera romanista resta paradigmatico in questo senso. A un certo punto era diventato banale dire «De Rossi non è mai banale». Eppure pochi altri calciatori sono stati così lontani dagli schemi precostituiti del «decide il mister/ siamo un gruppo unito/ puntiamo a dare il meglio» e via discorrendo. Pochissimi hanno sciorinato la sua proprietà di linguaggio. Quasi nessuno è riuscito ad abbinare forma dolce a sostanza forte. Lui sì. Anche su temi scottanti.
Da tecnico De Rossi continua a esprimere concetti robusti, pur utilizzando toni pacati e concentrando l’aggressività sul sistema di gioco più che sulle conferenze. Così il primo big match diventa uno stimolo all’orgoglio dei suoi: «Siamo consapevoli della forza avversaria, ma anche della nostra. Il troppo rispetto diventa paura, ci vuole un po’ di spocchia». Prima di affrontare la stessa avversaria, all’andata, Mourinho aveva optato per tutt’altra linea: «L’Inter ha due squadre, noi una. Se Pavard è ammonito, loro possono far entrare un altro. Noi no». Differenti scelte mediatiche, stessa lucidità nel capire che le sfide iniziano prima dei 90’.
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