Petrachi: "Il mio rapporto con Pallotta ha complicato tutto"
Il direttore sportivo pugliese allo scoperto: "La Roma che vince la Conference presenta 7\11 di giocatori portati sotto la mia gestione"
Gianluca Petrachi esce allo scoperto. In un'intervista rilasciata al portale "Numero Diez", l'ex direttore sportivo romanista ha parlato della sua avventura all'interno del club giallorosso. Ecco alcune sue dichiarazioni.
Dopo dieci anni al Toro vai alla Roma, in cui rimani una sola stagione (2019-2020). Quell’estate ci fu una vera e propria rivoluzione tra entrate e uscite. A mio avviso, quella sessione di calciomercato è stata capita nel tempo, perché inizialmente non fu una compresa. Sei d’accordo?
“Io ho speso complessivamente, per 10/11 giocatori, circa 70-80 milioni di euro. Io avevo tantissime zavorre che mi portavo dietro da quel tipo di mercato che era figlio del mio lavoro. Quei soldi che ho utilizzato per comprare i giocatori li ho presi dalle cessioni di tantissimi giocatori. Si fece un mercato straordinario e si lavorò tantissimo. La Roma che vince la Conference League, presenta 7/11 che c’erano nella mia gestione. La difesa, ad esempio: Mancini, Ibanez, Smalling, Spinazzola. E poi c’era anche Veretout”.
Tra te e la Roma, cosa non ha funzionato?
“Io credo che, innanzitutto, non abbia funzionato la distanza tra me e il presidente Pallotta. Tra Pallotta e Petrachi c’era l’amministratore delegato Fienga, con cui ho avuto un ottimo rapporto, ma che non è stato un rapporto totalmente veritiero. Siccome sopravvivo con l’inglese, non sono bravissimo a parlarlo, col presidente non ci si trovava mai a parlare di calcio, a spiegare determinate scelte. Sono dinamiche che venivano rimbalzate di sponda al presidente. Fino ad un certo punto mi sentivo forte, perché sentivo accanto Fienga e dietro sentivo Pallotta, che comunque era felice del percorso che stavamo facendo. A me erano stati chiesti determinati obiettivi: abbassare i costi, rendere la squadra più giovane e renderla allo stesso tempo competitiva. Io credo che si stesse andando d’amore e d’accordo. Però a dicembre vinciamo una partita a Firenze per 4-1 ed eravamo in piena lotta per Champions League, terzi in classifica. Mando un messaggio al presidente Pallotta di auguri di Natale. Dopo la vittoria la Firenze, uno si aspetta, almeno gli auguri di Natale, che però non sono mai arrivati. A un certo punto ho detto: ‘Qua c’è qualche problema, c’è qualche problema che mi sta sfuggendo e che forse parte un pochino più da lontano, qualcosa che non mi stanno raccontando. Evidentemente forse avrò sbagliato qualcosa, c’è qualcosa che non va’. Successivamente a quello rientriamo dalle vacanze, io comunque faccio delle operazioni con Fienga e spiego che ci ero rimasto anche male che il presidente non mi avesse risposto a questo messaggio di augurio di Natale. Riprendi il campionato e perdiamo due partite, con Bologna e Torino. Avevo il sentore che fossimo tornati male da quella pausa invernale, perché già si parlava dei Friedkin. Tranquillizzai il gruppo: non ci sarebbe stata una rivoluzione. Dissi, però, che alla ripresa non li stavo vedendo bene. Chiesi a Fienga di farmi delle modifiche all’interno della struttura medica: io ritenevo che ci fossero alcune persone non professionalmente preparate, volevo fare una piccola rivoluzione, perché gli infortuni nella Roma erano tantissimi. E questa cosa non mi fu fatta. Io ho capito che in quel momento stavo perdendo forza, non avevo più l’autonomia che avevo prima. Dopo il Covid facciamo delle partite e ci rimettiamo in una posizione classifica molto apprezzabile. Il Presidente Pallotta fa una dichiarazione pubblica in cui ringrazia tutti: massaggiatori, magazzinieri, anche quelli che portavano l’ambulanza. Si dimenticò di Gianluca Petrachi. E lì, purtroppo, la mia istintività ha fatto sì che scrivessi un messaggio al Presidente non proprio bello. Un messaggio di aiuto, un grido d’allarme: ‘Mi stai abbandonando, però se c’è qualcosa parliamo da uomini!’ E da lì poi si è innescato un meccanismo al contrario. Non c’è stato mai nulla di così grave, di così offensivo. Il mio era un richiamo al fatto che mi dovesse dare forza, perché stavo perdendo di mano quella che era la situazione. Lì ero solo, non ho viaggiato sempre con collaboratori. Venivo dal Torino, avevo sicuramente un’ottima credibilità, ma Roma è un mistero, Roma è Roma. Non è difficile come piazza per la tifoseria, è esattamente il contrario: la piazza di Roma come tifoseria per me è una delle migliori che abbiamo in Italia, è proprio il contesto dove si fa fatica. Non rinnego nulla di ciò che è accaduto, certamente ripensando a quello che è stato. Se prendo la posizione, chiamo direttamente Pallotta e cerco di capire. Forse l’unica cosa che mi rimproverò è quella di non essere stato io a prendere l’iniziativa a chiamare il Presidente e dire ‘Cosa sta succedendo’?”
Ora, ad esempio, i Friedkin sono molto sempre presenti alle partite e agli allenamenti… a Roma hanno avvertito questo. Quello che dicevi ha dei riscontri nei fatti.
“Da questo punto di vista, ho anche creato un percorso diverso. Sono stati fatti tanti cambiamenti nella mia gestione. Qualche giocatore lo sento ancora: ‘Avevi preparato il terreno, ne ha beneficiato sicuramente Mourinho, tante cose sono cambiate a Trigoria, tante situazioni…’ Quindi, vuol dire, poi, ci rimani male. Ciò che mi dispiace di tutta questa situazione è che io sono uscito fuori con una figura che non è la mia: quella che Petrachi fa causa alla Roma. Petrachi è stato licenziato per una finta giusta causa, quindi si è difeso da un licenziamento. Oggi Petrachi passa per quello che denuncia le società. Io mi sono semplicemente difeso”.
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