Parla Tiago Pinto: "Mi sento stanco, la missione che avevo era quasi compiuta"
Il dirigente portoghese: "Il mio ciclo alla Roma era finito. Non sono il tipo che lavora per tanto tempo in un solo posto, non mi sentirei a mio agio"
A pochi giorni dall'ufficializzazione del suo addio alla Roma, Tiago Pinto ha raccontato in un'intervista al The Athletic le sue sensazioni e tutta la sua carriera.
L'intervista dell'ormai ex general manager inizia subito dall'ultimo mercato in giallorosso: "Non c'è tempo per i saluti, devo comprare un difensore molto economico". Poi inizia a ripercorrere gli inizi della sua carriera al Benfica, il club di cui è tifoso: "In una sola stagione, con cinque sport diversi, abbiamo vinto quattro campionati nazionali e quattro coppe nazionali. Tutto il paese era rosso". Pinto fa riferimento ai giovani calciatori prodotti dal vivaio del Benfica con cui ha collaborato: "Sono passato con Ruben Dias e Joao Felix. Abbiamo iniziato lo stesso anno. Io come direttore sportivo, loro come giocatori della prima squadra. Abbiamo vinto il titolo con nove giocatori dell'accademia e Bruno Lage, un allenatore dell'accademia".
Poi una specificazione, che è rimasta coerente anche nel lasciare la Roma: "Non sono il tipo di persona che cerca di lavorare 15 anni nello stesso posto e di sentirsi a proprio agio. Mi piacciono i rischi. Mi piacciono le sfide. Penso che il ciclo sia vicino alla fine. Non sto parlando del ciclo Roma o del ciclo di Friedkin, ma la missione che avevo era quasi compiuta. Personalmente mi sento stanco, se sai solo di calcio, non sai niente di calcio", aggiunge citando una vecchia frase di Mourinho e continua: "Vent’anni fa un direttore sportivo guardava le partite e ingaggiava giocatori. Ora non è più possibile".
Dopodiché passa a spiegare com'è stato organizzato il lavoro nel settore giovanile giallorosso: "Selezionavamo migliori giocatori del settore giovanile e lavoravamo su di loro come se fossero giocatori della prima squadra. Hanno avuto uno psicologo, un nutrizionista, un addestramento speciale. I ragazzi del dipartimento della comunicazione gli hanno fornito anche una formazione mediatica. Il tutto per ridurre il gap tra le giovanili e la prima squadra. Nicola Zalewski ed Edoardo Bove facevano parte di quel gruppo". Sul gol di Bove contro il Bayer Leverkusen: "Quando ho visto quel gol, per me è stato come ingaggiare Dybala".
Il passaggio alla Roma e la situazione complessa: "Avevamo più di 70 giocatori sotto contratto. La maggior parte di loro non erano giocatori chiave. Non voglio citarli tutti, ma tutti ricordano Pastore, N'Zonzi, Santon. Anche altri giocatori come Bianda, Coric e Riccardi. Erano calciatori che pesavano sul monte ingaggi ma che non rendevano in campo. Come direttore sportivo non posso dare la colpa al passato e dire che tutti quei giocatori non hanno valore. Non avrei potuto dire di sbarazzarmi semplicemente di loro. No, devo proteggere il patrimonio del club. Quello che stavamo cercando di fare con prestiti e collaborazioni con altri club, è stato cercare di trovare le soluzioni migliori per tutti. E il più delle volte ci siamo riusciti".
Continua parlando dei paletti imposti dall'Uefa: "Abbiamo venduto più di 160 milioni di euro in giocatori e se si guarda ai giocatori che abbiamo venduto, forse solo Ibañez e Zaniolo sono stati giocatori che hanno veramente giocato in prima squadra, perché tutti gli altri non erano giocatori chiave ma in prestito oppure fuori dalla rosa".
Poi passa a parlare dell'arrivo di Mourinho, e del messaggio inviato al procuratore dell'ora tecnico giallorosso. L'agente di Mourinho ha girato al suo assistito il messaggio, il tecnico portoghese ha accettato e la trattativa è iniziata: "Credo che tra il messaggio e l'annuncio ci siano stati 14 giorni. Se penso alla proprietà e al modo in cui abbiamo firmato Mourinho, li rappresenta molto bene. Si agisce in fretta, senza clamore e sorprendendo tutti".
E sull'arrivo di Lukaku, il general manager ammette che tornare a Roma senza il belga non era un'opzione: "Avrei fatto meglio a tornare in Portogallo". Poi parla dell'acquisto di Abraham come un segnale da parte della proprietà: "Avevamo Dzeko, un giocatore davvero importante per la storia della Roma. All'epoca eravamo in trattativa per la sua cessione e volevamo dimostrare che il nostro progetto sarebbe stato forse con calciatori più giovani, ma mantenendo le stesse ambizioni. La prima stagione fu straordinaria. Ha segnato quasi 30 gol, ma Tammy è più di un marcatore. Se si guardano i numeri, è sempre stato un ragazzo che fa anche 10 assist a stagione".
Su Dybala: "Penso che siamo stati molto intelligenti nel gestire le tempistiche, perché a fine stagione o all'inizio del mercato se fossimo andati a lottare con i club interessati, non saremmo stati in grado di gestire la situazione, non avevamo la capacità di farlo. Poi per alcuni motivi, e non voglio citare i club, ma per alcuni motivi, il club A non era in grado di concludere l'affare in quel momento, il club B stava cambiando allenatore. Quindi abbiamo capito il momento. Abbiamo avuto una settimana di tempo e durante quella settimana a Torino, credo che abbiamo lavorato di nuovo molto bene come squadra, proprietà e allenatore, pienamente coinvolti".
Dopo Pinto torna a raccontare qualche retroscena dell'affare Lukaku: "Ero rimasto in contatto con il suo agente perché lo conoscevo molto bene
perché stavamo parlando di un altro suo giocatore. E naturalmente ogni volta che parlavamo dell'altro giocatore, facevo sempre delle battute. 'Cosa succederà con Lukaku'?" Non ho mai detto di volere Lukaku, ma ho sempre saputo cosa stava succedendo e un giorno ero con Ryan Friedkin e seguivamo l'allenamento quando questo agente mi ha chiamato e io non gli ho nemmeno detto "Buongiorno". Ho detto qualcosa del tipo: 'No, non voglio Lukaku, amico! Non ho i soldi per Lukaku". Il ragazzo rideva e rideva ripetendomi che non mi stesse chiamando per Lukaku. Credo che tre anni fa tre anni fa se aveste chiesto a un tifoso della Roma se fosse stato possibile avere nella stessa squadra Dybala,
Tammy, Lukaku e Mourinho, forse avrebbero detto: 'Sei pazzo'. E ora li hanno".
Successivamente il pensiero verso la piazza romanista: "Credo sia giusto dire che non ci sono molte atmosfere come quella che si respira qui a Roma Il merito dei Friedkin è quello di aver riportato l'unità tra la città e la squadra". E sulla sconfitta di Budapest aggiunge con rammarico che oltre ad aver perso un trofeo: "Abbiamo perso anche la qualificazione alla Champions League. Poi, tre o quattro giorni dopo c'è stato il grave infortunio di Tammy". Alla domanda sul perché la Roma non sia mai stata in corsa per lo scudetto, in un ciclo di campionati in cui a vincere non è mai stata la stessa squadra, Pinto risponde: "Le ultime tre squadre che hanno vinto il campionato in Italia sono state eliminate molto presto dall'Europa. Quando l'Inter ha vinto lo scudetto con Conte, è uscita ai gironi di Champions League a dicembre. Quando il Milan ha vinto il campionato, è uscito nelle fasi a gironi. Quando il Napoli ha vinto, è uscito ad aprile". Non rinuncia al sogno Dublino: "Si può vedere anche nella storia della Champions League che a volte il Liverpool ha perso una finale e poi ha vinto, il Milan ha perso e poi ha vinto, il Man City ha perso e poi ha vinto".
Pinto ancora conserva la foto dei festeggiamenti in piazza in occasione della vittoria della Conference League, che lo ritrae con la bandiera giallorossa: "Tre anni alla Roma! Non ci sono non ci sono molti direttori sportivi che hanno l'opportunità di stare tre anni alla Roma".
E conclude con uno sguardo al futuro, magari in Premier League: "È il campionato in cui tutti vogliono essere: giocatori, allenatori e dirigenti. È il migliore del mondo. Mi piacerebbe fare questa esperienza. Ora o più tardi. Ora la cosa più importante è provare di nuovo quello che ho provato al Benfica e quando sono arrivato alla Roma. L'allineamento e l'impegno con le persone del club. Dopo la Roma, sono pronto a tutto".
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