Il nostro sogno infranto
Il 19 marzo ’96 la rimonta sfumata, una ferita ancora viva e aperta nel cuore dei romanisti. Ma anche una serata carica d’amore e d’orgoglio
È una ferita ancora aperta nel cuore e nell’anima di tutti i romanisti che l’hanno vissuta, ma al tempo stesso una delle serate più commoventi, emozionanti e romaniste di sempre: Roma-Slavia Praga è un pezzo doloroso della nostra storia, ma è una di quelle cicatrici che ci ricordano chi siamo, da dove veniamo e dove siamo diretti. Sono passati 27 anni da allora, e se è vero l’adagio secondo cui l’esperienza è la somma dei nostri sogni infranti, allora quella partita del 19 marzo 1996 ne è il simbolo. Ora che sono passate quasi tre decadi da quella ferita, è giunto il momento di guardare in faccia i nostri fantasmi cechi, di affrontarli e - auspicabilmente - sconfiggerli. A maggior ragione se si tiene conto che li ritroviamo proprio nell’anno in cui ci ha lasciato Carletto Mazzone.
La partita
È il suo 59simo compleanno quel giorno, nonché l’onomastico di Capitan Giannini: entrambi sanno già che a fine stagione diranno addio alla loro squadra del cuore, e la voglia di farlo compiendo un’impresa è tanta. L’andata dei quarti di finale di Coppa UEFA in terra ceca, però, si è conclusa con un ko per 2-0 che complica non poco le cose. Eppure, per la sfida di ritorno, l’entusiasmo non manca di certo. In città, da Trastevere alla Garbatella, l’impresa sembra possibile; ci crede pure la squadra, e con essa il tecnico. C’è bisogno, però, dello spirito testaccino, quello che più d’ogni altro identifica la Roma, quello che dodici anni prima aveva guidato i giallorossi nella rimonta sul Dundee United che era valsa la finale di Coppa dei Campioni.
Per caricare Giannini e compagni, lo Stadio Olimpico si veste a festa, indossando il più elegante degli abiti da sera: sugli spalti sono presenti 63.859 spettatori «cor core acceso da ’na passione», per citare Campo Testaccio. La coreografia coinvolge praticamente l’intero impianto, ed è da brividi: all’ingresso in campo delle due squadre, i settori si tingono di giallo e di rosso con decine di migliaia di cartellini colorati, mentre da una Curva all’altra campeggia un messaggio chiaro. In Nord campeggia la gigantesca scritta “NON”, nella parte bassa della Tribuna Tevere “MOLLEREMO” e in Sud “MAI”.«Non molleremo mai», dice alla Roma la sua gente.
Dopo una dimostrazione d’amore del genere, la squadra non può fare altro che dare tutto: dopo un primo tempo contratto, al quarto d’ora della ripresa Moriero ci porta in vantaggio, facendo esplodere di gioia l’Olimpico. A quel punto è un assedio romanista, con lo Slavia che si limita a difendere con le unghie e con i denti nella sua metà campo. Ma all’82’, sugli sviluppi di un calcio di punizione dalla destra, è proprio Giannini che - spalle alla porta - infila il gol del 2-0 sotto la Sud. E proprio lì corre il Principe, inseguito da un giovanissimo Francesco Totti e da tutti gli altri compagni. Si va ai supplementari, e lo stadio è una totale bolgia: con una carica del genere, tutto è possibile. Al 9’ del primo tempo supplementare ancora Moriero, magistralmente imbeccato in verticale da Totti, fredda col destro il portiere avversario in uscita e fa tremare l’Olimpico. L’esterno si toglie la maglia e corre sotto la Tevere tenendola alzata al cielo, quasi volesse offrirla in dono a tutti i 64mila presenti.
Ma quando le cose sembrano ormai destinate a chiudersi nel migliore dei modi, ecco la doccia gelata: una lunga respinta del portiere ceco prende in contropiede la difesa romanista, Carboni non riesce a intervenire, Aldair scivola e Vavra riesce a far passare il suo tiro sotto le gambe di Lanna, indovinando l’angolo dove Cervone non può arrivare. Il 3-1 condanna la Roma all’eliminazione: il sogno svanisce, Totti crolla a terra in lacrime, i tifosi rendono omaggio al grande cuore della squadra. È il finale più amaro che si possa immaginare, ma è allo stesso tempo una delle serate più romaniste di sempre. Perché ci ricorda che l’amore vero non conosce risultati.
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