Quanto è più facile quando c’è chi segna
Lukaku non sbaglia un colpo, Roma si gode l’over performance nel rapporto tra le occasioni costruite e le reti segnate. Aspettando Dybala c'è anche Belotti
Lo scorso anno, in tutta la stagione, per l’esattezza in 55 gare, in nessuna partita la Roma è riuscita a segnare (almeno) quattro gol nei 90 minuti regolamentari (4 ne segnò al Feyenoord, 2 dei quali ai supplementari). Quest’anno è già successo tre volte: con l’Empoli (addirittura sette le reti), col Servette e a Cagliari. Magari è un caso, magari no. Sta di fatto che adesso la Roma è seconda nella classifica delle reti segnate in serie A (19, solo l’Inter ne ha realizzate di più, con 21) e Lukaku è terzo nella classifica dei cannonieri (5 reti, in 462 minuti giocati: significa un gol ogni 92 minuti, in pratica uno a partita) dietro Lautaro Martinez (10 gol in 636 minuti, uno ogni 63 minuti) e Osimhen (6 in 622, un gol ogni 103 minuti, dunque con una media peggiore rispetto al romanista).
Se si allarga il quadro alla classifica degli expected goal, solo considerando il delta tra le reti effettivamente segnate e quelle “meritate”, la classifica dice che la Fiorentina sta godendo di un mostruoso +9 (numero gol fatti rispetto a xg), segue proprio la Roma con +6,4, poi Inter con +5,5 e poi Genoa, +5,1. Chiude l’Empoli con un preoccupante -6,9. Che significa questo dato? Che limitatamente alle prime otto giornate di campionato, la Fiorentina, la Roma, l’Inter e il Genoa hanno goduto della straordinaria vena dei loro attaccanti (in particolare evidentemente Nico Gonzalez, Lukaku, Lautaro e Gudmundsson). Ed il povero Empoli ha segnato molto meno di quanto ha raccolto.
La difesa va migliorata
È stato dunque già colmato il gap che impediva alla squadra giallorossa di puntare più in alto di quanto i suoi meriti le permettessero di fare. Ora semmai c’è da registrare meglio i meccanismi difensivi: al momento appena quattro squadre hanno preso più gol dei dodici subiti dalla Roma, e sono Sassuolo (14), Empoli e Cagliari (14) e Salernitana (17). Ma è anche vero che quella giallorossa è in assoluto la formazione che ha il peggior differenziale tra le reti effettivamente subite (12, appunto) e quelle che avrebbe meritato di subire, 7,4. E questo significa che le performance individuali della difesa (e del portiere, in particolare) sono state pessime. Questo non significa che Rui Patricio (o Smalling, Mancini, Llorente, Cristante, Ndicka e Celik) siano scarsi in assoluto, ma che le loro prestazioni (con le diverse gradazioni che ogni caso richiama a sé) sono state insufficienti. Tutta questa premessa per dire una volta di più che la vera differenza tra una squadra e l’altra la fa la qualità tra i giocatori o, quanto meno, il rendimento che offrono. Più si alza la qualità e più è facile presentare buone statistiche.
Mourinho è sempre lo stesso
Roma sugli scudi quanto a prolificità, dunque. Questo è il dato ovviamente parziale che emerge da questa prima parte di campionato. E Roma poco attenta alla fase difensiva. In pratica, l’esatto contrario di quanto si potesse sostenere della squadra di Mourinho lungo tutto l’arco della scorsa stagione. È cambiato Mourinho? No, è cambiata la qualità dei suoi giocatori offensivi, probabilmente. Mentre dal punto di vista difensivo è calato il rendimento dei difendenti, oltre al fatto di aver perso Ibañez di cui nessuno può rimpiangere le sviste nelle scelte individuali strategiche soprattutto in fase di costruzione, ma di cui molto rimpiangono la velocità dei recuperi. Con questo non vogliamo certo sostenere che un allenatore sia esente dalle responsabilità nel rendimento della propria squadra, nel bene o nel male.
La Roma ad esempio ha ancora una lunga strada da fare nella costruzione della manovra soprattutto per tempi d’uscita e rotazioni dei giocatori chiamati ad impostare dal basso e magari dovrebbe anche trovare il modo di difendersi con maggior efficacia in avanti senza abbassare sempre il proprio baricentro fino ai limiti della propria area, ma che la presenza di Lukaku davanti e magari l’assenza di Renato Sanches e Smalling quando la palla ce l’hanno gli altri in queste prime giornate si sono fatte sentire parecchio.
Il gatto con il topo
Della partita di Cagliari non c’è poi molto da dire, se non che la squadra di Mou abbia giocato al gatto col topo. Dopo diciotto minuti di controllo e possesso palla, ha colpito in transizione due volte in pochi secondi (e sfiorando un altro gol con Dybala), poi ha limitato la sua gestione ad un’attenta fase di difesa in blocco più basso e senza più il controllo del palleggio, poi ha colpito all’inizio del secondo tempo senza risentire del trauma dell’uscita per infortunio di Dybala e nella mezz’ora finale ha fatto sfogare il Cagliari con tiri e cross (alla fine sono stati 16 i tiri totali di cui però solo 2 nello specchio e addirittura 24 cross, di cui 9 utili) uscendo però indenne (non fosse stato per un involontario tocco di mezzo braccio di Cristante) dall’assalto avversario.
Vittoria netta, senza mai soffrire, di una squadra matura e sicura dei propri mezzi, il contrario di come era apparsa a Genova appena dieci giorni prima. Il Cagliari appare sicuramente meno squadra del Genoa, ma se non ci fosse stato Gudmundsson in quello stato di grazia forse anche la gara di Marassi sarebbe finita in maniera diversa. Insomma, a volte la qualità degli avversari può marcare una differenza se nello specifico non riesce ad inciderla la qualità dei romanisti. Potrebbe sembrare un’ovvietà, ma è quello che sostiene Mourinho quando in molti gli contestano una mancata qualità di gioco offensivo.
La Roma dei campioni
Ecco perché quando Paulo Dybala si è fermato al centro del campo, arrendendosi al dolore che provava al ginocchio duramente colpito, il portoghese si è portato istintivamente la mano nei capelli. Dybala può cambiare le sorti di questa squadra così come le ha già cambiate Lukaku. E così come sarà fondamentale recuperare Smalling, Renato Sanches e il miglior Pellegrini, così come è importante che Mancini e Llorente, Paredes e Bove, Cristante e gli esterni siano sempre all’altezza delle loro potenzialità, così come una parata in più o in meno può fare la differenza tra una vittoria e una sconfitta. La Roma che ha in mente Mourinho è la Roma dei suoi campioni. Con loro si può vincere, senza sarà impossibile.
L’allenatore sa di poter essere un valore aggiunto, non l’unico valore. Gli danno del presuntuoso, ma in fin dei conti la sua è una straordinaria dimostrazione di umiltà. Si può ovviamente continuare a preferire la filosofia di tecnici differenti (gli affiliati alla scuola di Guardiola hanno in questo senso tutta la nostra ammirazione), ma non riconoscere a Mourinho la sua insuperabile levatura di allenatore è davvero incomprensibile. Eppure in molti, soprattutto dopo le sconfitte, tornano sul disco rotto della mancata brillantezza del gioco. E mentre lo fanno, lui spolvera una volta di più la sua bacheca.
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