AS Roma

Lukaku e Zapata, quando il gioco sono loro

Diverse filosofie di gioco, attitudini opposte. Ma alla fine, quando hai a disposizione giocatori di questo livello che spostano, ti appoggi a loro

Romelu Lukaku in azione con la maglia della Roma

Romelu Lukaku in azione con la maglia della Roma (GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Daniele Lo Monaco
26 Settembre 2023 - 07:57

Dal pareggio di Torino la Roma si può portar dietro qualche ingombrante pensiero negativo (altri due punti lasciati sui quindici disponibili e già tutti messi nella dispensa dall’Inter, incapacità di mantenere la concentrazione nei momenti chiave come su quella punizione di Vlasic sfruttata da Zapata, seconda rimonta subita su 6 uscite e contro squadre di livello inferiore), ma anche diversi aspetti confortanti, quali la capacità di reggere il confronto fisico contro una squadra muscolare come il Toro, la tenuta atletica di giocatori che venti giorni fa erano decisamente fuori forma, l’assoluta affidabilità della LuPa ringhiante in attacco, anche i miglioramenti di elementi non ancora pienamente integrati come Kristensen e Ndicka, al netto di qualche indecisione di cui parleremo. In un giudizio decontestualizzato, un pareggio come quello di domenica sera a Torino, su quel campo poco praticabile, non è risultato da buttar via. Ma per via del terreno già perduto e del vantaggio sprecato a 5 minuti dalla fine ovviamente il rammarico è evidente.

Nel segno dell’ariete
In questa sede ci soffermiamo principalmente sugli aspetti tecnico-tattici e c’è un dato che accomuna le due squadre che si sono affrontare domenica: avere al centro dell’attacco un ariete come Zapata per il Torino e Lukaku per la Roma è un fattore che non solo è opportuno sfruttare per quanto possibile ma che a lungo andare rischia di monopolizzare le sortite offensive. Attaccanti come questi sono insieme risorsa e limite, se si ha l’elasticità di pensiero di capire in quale contesto si può collocare un’affermazione così apparentemente avventata, e cioè esclusivamente pensando alle modalità di sviluppo del gioco.

Per certi versi Zapata e Lukaku sono per il Toro e per la Roma ciò che Haaland è per il City. E se a volte anche il biondo norvegese tende a calamitare l’attenzione dei suoi compagni in una squadra che fa dello sviluppo armonico di ogni manovra la sua caratteristica principale (non è raro vedere ad esempio Haaland segnare su una palla controllata sporca spalle alla porta come ha fatto Big Rom a Torino), figuriamoci che cosa può succedere nel Torino e nella Roma i cui allenatori puntano molto invece sulle figure specifiche su cui appoggiarsi alla ricerca del successo, pur partendo da concezioni di gioco strutturalmente differenti.

Sono scelte strategiche su cui è inutile sindacare: chi prende Guardiola (quei due o tre club al mondo che possono permetterselo), chi prende Mourinho, chi prende Juric, chi prende Conte, chi prende Allegri o chi prende Sarri sa quale filosofia adotterà il proprio club sin dal giorno in cui i tecnici assunti prenderanno il comando delle operazioni. Chiedere a Sarri il pragmatismo di Mourinho o ad Allegri di ragionare a fondo sulla costruzione dal basso come De Zerbi diventa esercizio sterile da cui in queste pagine ci teniamo ben lontani. Piuttosto è interessante capire quali cambiamenti e quale decisioni strategiche spostano la rotta nei progetti pluriennali di questi tecnici.

I numeri pazzeschi della LuPa
Che caratteristiche sta assumendo, ad esempio, la Roma nella sua versione 2023-2024? È chiaro che quando giocano Dybala e Lukaku è una cosa, quando mancheranno è un’altra. Finora hanno giocato insieme 173 minuti, neanche due partite intere, e la Roma in quei minuti ha segnato 6 reti. Solo per far capire le dimensioni di questa prolificità, si può immaginare questa proiezione: la Roma l’anno scorso ha giocato 55 partite, che moltiplicate per i 90 minuti teorici di ogni partita fanno 4950 minuti.

Ebbene, la media porta a pensare che la Roma con quei due mostri sempre in campo avrebbe segnato 176 reti, mentre il totale delle reti realizzate l’anno scorso dalla Roma è stato 73, molto meno della metà. Mourinho lo sa bene e sta comunque cercando di sfruttarne le potenzialità più che sia possibile. Ecco perché nonostante gli evidenti segni della stanchezza, a Torino ha pensato di tenerli in campo fino alla fine. Quei due “fanno” la Roma che vuole Mourinho, una squadra potenzialmente molto vicina ai modelli vincenti che il portoghese ha potuto guidare in precedenti esperienze.

Ma la Roma cerca la manovra
Questo significa che la Roma con la LuPa in campo giocherà sempre lanciando lungo su Romelu o cercherà lo sviluppo basso solo su Paulo? No e chi lo afferma o non osserva bene le partite o vuole sostenere la sua teoria a prescindere. A Torino, ad esempio, la Roma ha provato spesso a costruire dal basso anche per attirare le pressioni inevitabilmente alte dei granata, sia immaginando qualche trama articolata palla a terra sfruttando le geometrie di Paredes e gli inserimenti degli esterni e di Cristante, sia con l’obiettivo di trovare magari i due gioielli alti a duellare con due soli difensori granata, magari col contributo dinamico di El Shaarawy.

La partenza era con Llorente vertice alto di un triangolo che vedeva Mancini e Ndicka ai fianchi di Rui Patricio, lo sviluppo prevedeva appunto l’appoggio su Paredes trovato magari disponibile dopo un passaggio esterno, con Kristensen e Spinazzola tenuti bassi proprio per attirare i quinti avversari lontani dalla metà campo del Toro per avere anche l’estrema ratio di servire lungo su Dybala e Lukaku e invitarli ad un dialogo rapido e verticale per puntare la porta. Opportunità perfettamente colta, ad esempio, al 9’, con la conclusione del belga a sfiorare il palo.

È un difetto cercare queste soluzioni? No, diventa anzi obbligatorio se di fronte c’è un allenatore che non teme di lasciare gli uno contro uno anche con giocatori di questo spessore: e infatti la Roma ha sfiorato il gol e poi lo ha realizzato proprio sfruttando questi uno contro uno. Mourinho invece non ha praticamente mai lasciato questa possibilità a Zapata. E se non avesse preso quel gol su palla inattiva avrebbe avuto (ancora una volta) ragione lui.

L’errore sul gol
Ma qual è stato l’errore su quel gol? Per capirlo bene bisognerebbe sapere che cosa Mou chiede ai suoi uomini su quel tipo di punizione avversaria. Pioli, ad esempio, fa stare spesso la sua linea difensiva dentro l’area all’altezza del dischetto, preferendo difendere in avanti sul cross piuttosto che correre all’indietro. Ma è tra i pochissimi (e il Milan l’anno scorso ha preso tanti gol da palla inattiva). C’è chi marca a uomo, altri ancora fanno seguire solo il pallone. In un modo o nell’altro, è stata azzardata la scelta di tenere Zapata tra Ndicka (che davanti aveva Pellegri e ha cercato inizialmente di frenarne la corsa) e Spinazzola che invece non è scattato con la giusta vigoria. Errori che sono costati due punti e un altro bruciore di stomaco.

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