Romanisti, insieme si può essere immortali
Sarebbe bello se in questi giorni di attese bruciate e speranze zoppe, ritornassimo a essere noi, a riappartenerci davvero
Caro Direttore, durante la registrazione della canzone “Wish you were here” i Pink Floyd se ne stavano con le chitarre alla mano nello studio di registrazione a provare e riprovare quelle canzoni che hanno fatto storia. Un giorno, proprio mentre suonavano, entrò un signore grassoccio e mezzo pelato a cui nessuno della band fece attenzione.
Vi chiederete, cosa c’entra questo con la Roma? Abbiate pazienza.
Lui è Syd Barret. Storico componente del gruppo che andò via per tortuosi motivi di droga. Ma il punto è un altro, ossia che i suoi amici più stretti non lo riconobbero. Nessuno tranne uno. Quell’uno è David Gilmour, che poco conosce Syd.
È che a volte siamo troppo aggrappati a una sola immagine per non vederne l’insieme. Questo è quello che ripetutamente, a cicli alterni, accade alla Roma: si sono susseguiti Eriksson, Zeman, Mazzone, Bianchi, Capello, Del Neri, Spalletti, Ranieri, Garcia, Di Francesco, Fonseca e Mourinho… abbiamo messo tutti in discussione, tutti, persino un gigante come Mourinho saremmo capaci di buttare giù dalla torre. Sì, perché noi romanisti ereditiamo quella filosofia dell’estremo, che ci tramanda Cicerone e che diceva: «Fra tutte le ricompense della virtù, la più grande è la gloria, essa è la scala per mezzo della quale l’uomo sembra salire addirittura in cielo».
Ecco, la gloria. Noi che storicamente conosciamo poco la gloria dei trofei e il suo grido cupo e profondo, ma non abbiamo mai avuto bisogno di vincere per sentirci romanisti. In questi mesi sembra che molti di noi abbiano perso questo di quadro di insieme, la nostra storia, il nostro modo di tifare insieme, gioire e ancora di più perdere insieme. Abbiamo pianto e gioito stremati con quei ragazzi in campo sentendo il sapore dell’erba insieme a loro, abbiamo rincorso il pallone dagli spalti, abbandonato lavoro, genitori e famiglie pur di essere lì con loro, per vedere il rosso di quella maglia pulsare nel campo insieme ai nostri cuori. Abbiamo gridato i loro nomi ogni volta come se fosse l’ultima occasione per poterli abbracciare e dirgli che dietro di loro ci saremmo sempre stati noi a difenderli. Noi che rivivremo per sempre insieme quel 25 e quel 31 maggio. Insieme. Questo vuol dire essere romanisti. Quello che fa la differenza tra essere nati ed essere immortali.
Sarebbe bello se in questi giorni di attese bruciate e speranze zoppe, ritornassimo a essere noi, a riappartenerci davvero, a guardare nei volti e negli occhi tutti i nostri ragazzi che in questi anni ci hanno portato a vivere questa corsa senza fine, a capire le lacrime di un uomo come Mourinho che ha ripreso dentro di sé il senso del calcio, quello che viveva con suo padre da bambino. Sarebbe bello se ritornassimo a prendere il filo del nostro destino, il braccio del nostro compagno dello stadio, a cantare novanta minuti anche se stiamo perdendo, a guardare quanto è bello il volto di Roma nostra anche se va tutto male, sarebbe bello se potessimo sapere che insieme, in qualsiasi giorno da romanisti, si può essere immortali.
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