43 anni dopo cambia il vento, ma noi no
Cambia il vento ma noi no, verrebbe da cantare insieme ai 5000 tifosi della Roma che ieri si sono accalcati addosso alla rete del parcheggio dell’aeroporto di Ciampino
Cambia il vento ma noi no, verrebbe da cantare insieme con i 5000 tifosi della Roma che ieri si sono accalcati addosso alla rete del parcheggio dell’aeroporto di Ciampino sgombrato dalle macchine dei dipendenti proprio per far spazio a tutti quelli che volevano salutare l’arrivo di Lukaku, gigantesco come le ambizioni dell’uomo che lo ha portato a Roma, Dan Friedkin.
Fummo persino qualcuno in più 43 anni fa, a Fiumicino, per accogliere degnamente l’uomo che (ri)fece grande la Roma, Paulo Roberto Falcao. Di quel giorno restano pochi fotogrammi scoloriti, ma è ancora tutto negli occhi e nel cuore di chi scrive: resta il ricordo di un passaggio veloce, quasi un soffio di vento tra la gente accalcata, la sfuggente immagine di qualche ricciolo ribelle non trattenuto dalla morsa di un berretto di lana giallorossa fuori stagione eppure così cool, l’eleganza di un calciatore sognato per anni (Sandro Bonvissuto ha scritto uno straordinario libro sul significato di quello sbarco) e che in giacca e cravatta atterrava in un nuovo mondo, una nuova casa nella quale avrebbe regnato per anni.
Cambia il vento ma noi no, e 43 estati dopo, di quest’altro pomeriggio incredibile raccontato da Andrea Di Carlo in ogni particolare prima in diretta su Radio Romanista e oggi sul giornale, resteranno a disposizione dei posteri centinaia di video e di immagini, raccolte da ognuno dei 5000 presenti, aggiornati sugli spostamenti dell’aereo presidenziale da un programma che traccia le rotte di ogni aereo del mondo a cui quasi 50000 pazzi, nella parte finale della tratta, erano collegati contemporaneamente. Cambia il vento e passa il tempo, ma resta intatto il sentimento di un popolo che ama sognare d’estate quando chi li guida lo autorizza a farlo, magari scendendo dall’aereo che ha guidato personalmente, aggiustandosi i capelli, inforcando i Ray-Ban e salutando a mani giunte i tifosi ammirati, mentre di sottofondo scorre idealmente la colonna sonora di Top Gun, per tutti ormai Top Dan.
Parlava poco e in una lingua tutta sua Dino Viola, non parla affatto questo signore azzimato che ha ammaliato la sua gente portando a Roma prima Mourinho, poi Dybala e oggi Lukaku, proprio quando il popolo in fibrillazione sembra aver perso la speranza. Un giorno poi bisognerà fare un discorso a parte su Tiago Pinto, il giovane dirigente portato a Roma su segnalazione di qualche headhunter dopo aver mosso i primi passi da direttore sportivo nel Benfica, la squadra del suo cuore. Per conquistare il presidente, da giovane tifoso ribelle, lo aveva duramente accusato di malgoverno durante un’assemblea dei soci.
Il giorno dopo fu convocato in sede e poi assunto. È un passionale che lavora solo in funzione del club che lo paga, non ama la luce dei riflettori, ha sofferto come il più verace dei tifosi l’idea che la prolungata attesa potesse precludere alla Roma l’accordo con un centravanti all’altezza delle ambizioni di Mou. Cinque giorni fa mezza Roma lo voleva mandare a casa, oggi è più popolare del sindaco. Ma non dimentica niente.
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