Ciao mitico Carletto, romanista per sempre
S’è spento ieri, a 86 anni, un pezzo di storia giallorossa: tifoso ancor prima che allenatore, verace, “svezzò” Totti, esaltò Giannini e si fece amare da tutti
In panchina un gladiatore, nella vita un gran signore». Così la Curva Sud salutò Carlo Mazzone il 12 maggio 1996, giorno della sua ultima partita da allenatore della Roma. Se n’è andato ieri a 86 anni, ma per tutti noi non se n’è mai andato da quella curva sotto la quale il 27 novembre 1994 aveva vissuto una delle sue giornate più belle. Nel 3-0 alla Lazio di Zeman c’è tutto Carlo Mazzone. Nelle due settimane precedenti ingoiò complimenti al gioco spettacolare dei biancocelesti e critiche al suo, conservando quel Corriere dello Sport con l’esito del sondaggio più bello di sempre: 11 sfide tra gli 11 giocatori delle due squadre, risultato: 11-0 per la Lazio.
Sondaggio appeso nello spogliatoio e 3-0 in campo. Ma già nel suo primo derby da allenatore della Roma, aveva mandato il messaggio giusto ai suoi giocatori: «Io ho sempre battuto la Lazio: quando allenavo l’Ascoli e quando allenavo il Catanzaro. Non siate voi a farla grande!».
Un’autentica leggenda
Grande lo è stato per tutto il calcio, Carlo Mazzone. Ha allenato tante squadre, lasciando un segno ovunque. Dalla modernità del suo Ascoli al bel gioco della sua Fiorentina, specialista in salvezze, nel lanciare giovani e ricostruire campioni (Baggio, Signori, Guardiola, che gli dedicò la Champions vinta a Roma nel 2009 col Barcellona), detentore del record di panchine in Serie A (797), ha sempre avuto una squadra nel cuore: la Roma, con la quale aveva giocato due partite nel giugno del 1959 prima di lasciarla e tornarvi da allenatore nel 1993. Nato a Trastevere, cresciuto nel settore giovanile giallorosso, era un difensore determinato ma un po’ lento.
Iniziò ad allenare ad Ascoli, dove poi si è stabilito, ma in ogni sua manifestazione c’è sempre stata Roma. Dalla corsa sotto il settore dei tifosi dell’Atalanta quando allenava il Brescia, alle sue battute più famose, fino ad ogni sua espressione. Fino alla frase che disse a Claudio Ranieri: «Non puoi dire di aver fatto l’allenatore finché non ti sei seduto almeno una volta sulla panchina della Roma».
Er Magara
Arrivato alla Roma nel 1993, l’ha allenata per 121 partite fino al 1996. Nacque subito la “Brigata Magara”, in omaggio al soprannome che gli diede un grande romanista. Cioè il giornalista Alberto Marchesi, che gli chiese se pensava di poter battere la Juventus con il suo Catanzaro. «Magara!», rispose lui. La sua prima vittoria da tecnico della Roma fu proprio contro la Juventus, poi però iniziò un anno difficile, con 14 partite senza vincere e un colpo di coda finale mancando la Coppa Uefa a causa di un rigore inesistente concesso al Napoli in Napoli-Roma 1-1.
«Dicono che col tempo gli errori arbitrali si compensano, se devono sbrigà, qua io so sempre in rosso», disse una volta. Chissà cose pensò quando fu testimone della rimessa laterale di Aldair, ostacolato dal guardalinee Manfredini, nello Juve-Roma dell’anno successivo che segnò la fine dei sogni di gloria della sua seconda Roma. La migliore, che tornò in Europa trascinata da Balbo, Fonseca (che aveva fortemente voluto, avendolo allenato a Cagliari), Giannini e con Totti che aveva dato il via a quella stagione segnando il suo primo gol in A il 4 settembre col Foggia.
Un rapporto speciale
Già, Totti. L’aveva fatto esordire titolare il 16 dicembre 1993, giorno dopo il «regazzì, vatte a fa’ la doccia», imposto di fronte a microfoni e taccuini che aspettavano il giovanissimo campioncino e che dice tutto sul senso di protezione che fu la chiave per far esplodere il futuro Capitano nei suoi primi anni. Dalle raccomandazioni a mamma Fiorella al sapiente uso del minutaggio in campo, ai tanti insegnamenti che Totti gli ha sempre riconosciuto. Tra i due è sempre rimasto un affetto vero e c’è da giurare che alla prima doccia dopo aver saputo la notizia della scomparsa del suo vecchio maestro più di una lacrima si sarà confusa con l’acqua.
Molto stretto anche il suo rapporto con Giannini, iniziato con una certa diffidenza («M’hanno raccontato che te la comandi qua») e proseguito nel segno della stima reciproca («Me sa che m’hanno detto un sacco de cazzate su di te»). Nonostante i problemi tra il numero 10 e la società, con lui il Capitano ha vissuto un finale della sua carriera romanista di alto livello. Lo spunto non era più quello di una volta e così Mazzone lo fece arretrare, facendogli impostare l’azione davanti alla difesa. Avrebbe fatto la stessa cosa con Pirlo a Brescia. Meno gol, più geometrie. Funzionò. Il comune destino dei due si sublimò in particolare in due momenti. Il 20 marzo 1994 proprio un gol di Giannini a Foggia scacciò l’incubo della retrocessione e da quel momento la Roma spiccò il volo.
E poi c’è quel maledetto 19 marzo 1996, compleanno dell’allenatore e onomastico del capitano, che contro lo Slavia Praga giocò una grande partita e segnò il gol della grande illusione. Quell’ingiusta eliminazione segnò la fine del percorso giallorosso di entrambi, che comunque trovarono la forza di trascinare la Roma alla qualificazione per la successiva Coppa Uefa. Tre anni dopo, quando alla guida del Bologna Mazzone eliminò proprio lo Slavia Praga, pensò subito ai romanisti. «Questa è per loro. Per quella notte là».
E un sorriso oggi è per il Mister. Per quel pensiero, per tutti quegli anni là.
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