AS Roma

Mourinho: "Siamo in ritardo sul mercato ma nessuna guerra con Pinto"

La lunga chiacchierata dello Special One al Corriere dello Sport: "Mi riesce impossibile dire che sono contento, Pinto lo sa. Mai pensato di andar via"

José Mourinho prima di Tolosa-Roma

José Mourinho prima di Tolosa-Roma (GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA La Redazione
07 Agosto 2023 - 08:11

Parla José Mourinho in una lunga intervista esclusiva concessa a "Il Corriere dello Sport". Ecco parte delle sue dichiarazioni:

"Firmai per la Roma perchè quando incontrai i Friedkin mi piacque molto il loro modo di parlare. Quelle parole mi toccarono nel profondo, di questo avevo bisogno. "Pensiamo che tu sia la persona giusta per aiutarci a rendere la Roma un club più grande", aggiunsero. Trasmisero il loro entusiasmo, mi piacque la prospettiva di un progetto diverso, tre anni di contratto, una crescita progressiva, qualcosa che in precedenza non avevo mai preso in considerazione".

in questi due anni qualche attimo di sconforto l'hai vissuto.

«Frustrazione sì, momenti di frustrazione».

Nel secondo anno le cose sono peraltro peggiorate, in termini di risorse a disposizione.

«Il primo anno conoscevo la situazione, percepivo la voglia della proprietà di crescere e ho pensato: ok, questo è perfetto per me. Un profilo come Il mio, uno che ha vinto tanto, di solito non accetta facilmente un progetto potenzialmente minore. Mi viene in mente solo Ancelotti all'Everton».

Cosa ti preoccupa allora?

«La mia felicità. Qualche giorno fa commentavo col tavolo dei miei a Trigoria una delle prime cose che il Papa ha detto a Lisbona. "Dovete ridere, dovete scherzare, pensare positivo, dovete coltivare il sense of humour". Il mio tavolo ha tutto questo».

Ecco spiegato l'abbraccio al centravanti immaginario.

«Anche, a volte leggo che Mourinho sta provocando la società, che Mourinho è un mago della comunicazione».

Non mi dirai che non è vero.

«Ripensi che io stia scherzando, ma Nuno, che è qui con noi, sa bene come stanno le cose, i piedi incrociati sul tavolo li metto venti volte al giorno».

Sl, però l'estate scorsa avevi il computer spento davanti ai piedi e stavi sottolineando l'impossibilità di fare acquisti.

«In seguito però non c'è stato alcun retropensiero. La foto con l'attaccante immaginario è stata fatta per ridere».

Per cui, va tutto bene.

«Non va tutto bene, ma mi diverto anche nelle difficoltà. Mi arrrabbio per un'ora e subito dopo torno positivo. Non mi deprimo, non minaccio, non dico che mi hanno promesso mari e monti e non vedo né i mari né i monti. Una cosa che non posso cambiare è la mia natura, non sono uno che racconta cazzate. Relativamente all'attaccante immaginario, posso dirti che anche se la settimana prossima arrivasse Mbappé sarebbe comunque in ritardo».

Sai come si dice a Roma? Dormi tranquillo, José.

«Questo per dire che dopo 28 giorni di lavoro, 31 allenamenti e 6 partite, in tutto 37 sedute, più riunioni di analisi tattica e altro, non avere un attaccante è un problema. A proposito, non fate casino con Belotti, resta e farà una stagione molto più produttiva».

L'hai voluto tu Pinto?

«Io, sì io. Però...».

Però?

«Dopo la partenza, tra virgolette, di Tammy, siamo in una situazione che nessun allenatore al mondo gradirebbe. Mi riesce impossibile dire che sono contento. Però sostenere che sono in guerra aperta con la società, con Pinto, che non sono felice, è sbagliatissimo. Pinto sa che siamo in ritardo, anche la proprietà lo sa, alla fine quello che soffre veramente è chi lavora e chi contro la Salernitana dovrà entrare in campo con la miglior squadra possibile. Incazzato no, depresso no. Scherzo, come vuole il Papa, soprattutto nelle difficoltà, lui ripete che le difficoltà fanno parte della vita, senza le difficoltà è più difficile provare grandi gioie. Vent'anni fa avrei fatto casino, vent'anni fa sarei stato incazzato. Dal mio primo Chelsea me ne andai perché ero realmente in guerra con un direttore sportivo. Non mi piaceva, non avevo rapporto, il mercato un disastro, era il 2008. Oggi siamo nel 2023 e sono un altro».

Quest'anno hai avuto un pessimo rapporto con le istituzioni e con gli arbitri. TI hanno dato del maleducato, del provocatore, la tua panchina è sempre troppo agitata. Strategia?

«Se facciamo Uefa di qua e Italia di là, mi sento molto meglio quando parlo di Uefa e meno di Italia. In Italia mi sono sentito aggredito, hanno violato la mia libertà di uomo, la mia libertà di uomo di calcio, la mia libertà non di grande allenatore, perché in queste situazioni non ci sono grandi o piccoli allenatori, siamo tutti uomini. Qui non mi sento più a mio agio. Ho paura di ricevere altre squalifiche, ho paura di dover tornare a sentire tutto quello che ho ascoltato o letto in questi due anni. Se mi dici José, parliamo di Budapest, ci sto. Però se mi chiedi di parlare di Italia, di sconfitte politiche, di opinioni espresse dalla gente e anche di offese ricevute, la cosa mi disturba. Ho detto paura, forse paura è eccessivo, fastidio è meglio. Penso che, a livello istituzionale, avrebbero dovuto trattarmi diversamente, da uomo di grande esperienza internazionale, uno che ha allenato in Inghilterra, in Spagna».

È vero tuttavia che hai sempre avuto un rapporto conflittuale con la classe arbitrale.

«Ho detto di Chiffi le stesse cose che Modric ha detto di Orsato, esattamente le stesse. Sono innamorato di Modric, ma non sono d'accordo con lui quando dice che Orsato è un arbitro scarso. Orsato è bravissimo. Ho detto la mia su Chiffi e avete visto le conseguenze. Modric ha parlato dopo una semifinale del Mondiale ed è arrivato a miliardi di persone, io alla fine di Monza-Roma. Ergo il pallone d'oro non ha subìto squalifiche, io la gogna. Se vuoi parliamo di Budapest, che è certamente meglio».

Le 4 giornate di squalifica.

«Budapest, da un punto di vista umano, è stata una delle più belle esperienze della mia carriera, perché ho visto di tutto, cose bellissime, ho visto una processione di romanismo, ho visto gente che sicuramente non ha mangiato bene per qualche settimana pur di essere presente, ho visto un gruppo di giocatori solido, la gente che lavora vicino a noi a Trigoria, con una passione incredibile. Ho visto gente che inseguiva un sogno assolutamente fantastico e ha vissuto la tristezza della sconfitta. Bobby Robson mi ripeteva spesso che nel momento della tristezza devi pensare alla gioia di chi ha vinto. Ho seguito suo consiglio, ho voluto stare vicino alla nostra gente e abbiamo rispettato la gioia dei tifosi del Siviglia, abbiamo salutato i nostri colleghi spagnoli, ci siamo comportati, dentro al campo, con una correttezza e un'umiltà eccezionali».

Ma poi sei sceso nel tunnel per dire qualcosa all'arbitro Taylor.

«Taylor non era lì, non c'era».

Come non era li?

«Taylor era rimasto dentro lo stadio e il giorno dopo l'hanno trovato all'aeroporto».

Scusa, ma a chi era rivolto il fuckin disgrace

«C'erano gli altri, non Taylor, c'erano il quarto uomo, gli assistenti, Rosetti e Howard Webb, il direttore tecnico degli arbitri della Premier, Taylor non c'era. Ti stavo dicendo che da un punto di vista umano è stata un'esperienza fantastica, eccezionale, anche perché, alla sesta finale, ho perso per la prima volta, conoscevo il lato bello della festa europea è non avevo mai vissuto il brutto. Per questo dico che da un punto di vista umano mi ha in qualche modo arricchito».

Torniamo a Taylor.

«Te lo spiego dopo quello che è successo, la verità. Finisce la partita, io entro in campo entro con la mia famiglia e le famiglie dei giocatori, vedo tanta gente piangere, io non piango mai dopo una sconfitta... Assorbo tutte quelle emozioni. Torno perché voglio stare con i giocatori in quel momento di tristezza assoluta, e con i tifosi Porto i giocatori dai tifosi e dai giocatori del Siviglia e a ricevere le medaglie, partecipiamo alla cerimonia, siamo impeccabili. In quei minuti ho sentito che dovevo essere il padre di famiglia, per questo ho detto al gruppo "resto con voi anche l'anno prossimo". La reazione dei ragazzi è stata splendida, in quel momento è finito tutto».

Avevi pensato di andartene?

«No. Finito tutto, rientriamo nello spogliatoio, scendiamo in garage e nel garage arriva il gruppo arbitrale. Con Webb ho un rapporto buono, come con Rosetti. Hanno entrambi arbitrato delle mie partite, Webb addirittura la finale di Champions con l'Inter a Madrid. So di non essere stato elegante, ma non ho insultato nessuno. "Fucking disgrace" è molto simile all'italiano "cazzo!", un'esclamazione, uno sfogo, o al portoghese "foda pra caralho". Sono andato da Rosetti e gli ho detto: "arbitro", lo chiamo così, "arbitro, è rigore o non è rigore?". Rosetti ha fatto quello che di solito fanno gli arbitri, non mi ha risposto. Ho ripetute la domanda a Webb, lui mi ha messo la mano sulla spalla e ha detto "José, sì, è rigore". Webb ha fatto quello che mi sarebbe piaciuto avesse fatto Taylor. Perché se Taylor o qualcuno al posto suo, dopo la partita fosse venuto da noi, nello spogliatoio del pianto, e avesse detto "ho sbagliato, abbiamo sbagliato, mi dispiace", non solo sarebbe finita lì, ma lui avrebbe avuto il nostro rispetto e la nostra ammirazione. Sbagliamo tutti, forse durante quella partita ho sbagliato anche io. Continuo a pensare una cosa: Taylor è bravo, per non dire molto bravo, positivo anche il rapporto che ho avuto in Inghilterra, mi sembra un uomo perbene, io non ho mai messo in dubbio la sua onestà. L'unica cosa che dico e dirò sempre è che era rigore e con quel rigore lì la Roma avrebbe potuto vincere. Prima di quel rigore la sua direzione non mi era piaciuta per niente, non mi erano piaciute le sue scelte tecniche, disciplinari, però continuo a pensare che sia un arbitro bravissimo e se la prossima stagione lo riavremo, nessun problema, sono sincero».

Ti hanno tolto tre quarti di coppa.

«Il giorno dopo è successo l'episodio dell'aeroporto, ma io non ho nulla a che vedere con quell'incidente. È stata la reazione di un gruppo di tifosi, io non c'entro affatto. Con mia grande sorpresa, due giorni dopo mi è arrivato un messaggio di un amico dell'Uefa, in questi anni mi sono fatto amici ovunque non solo nemici, "Amico mio" mi ha scritto "tu sei un grande del calcio, però ti do un consiglio, censura pubblicamente il comportamento dei tifosi della Roma all'aeroporto, te lo dico perché ti sono amico". La mia risposta è stata: se l'Uefa o Taylor chiedono scusa ai tifosi della Roma, io critico il comportamento all'aeroporto e chiedo scusa. Subito dopo sono andato al club e ho detto: da oggi e fino all'uscita della sanzione, che è già pronta, sarò io il focus di un arbitraggio triste e di un comportamento triste dei tifosi in aeroporto, oltre che del mio atteggiamento nel garage. Però adesso ho bisogno del vostro sostegno e di una comunicazione forte. Se mi chiedi quale sia stata in due anni e due mesi di Roma la cosa che mi ha fatto sentire più fragile, rispondo che non è stata la partenza di Mkhitaryan, aver perso un giocatore che mi piace tanto e aver giocato un anno e mezzo con solo 4 difensori centrali quando è normale averne 6. La cosa più triste è stata non essere appoggiato dalla società in una situazione del genere. Sconterò le 4 partite, non riesco a guardare l'Uefa in modo negativo, saranno 4 partite in cui mi sentirò un tifoso".

Torniamo al rapporto Tiago Pinto-Mourinho. Abbiamo scritto un sacco di cazzate?

«Sì».

Grazie, presenterò.

«Per prima cosa, siamo insieme praticamente ogni giorno. Come io e te adesso, lui da una parte del tavolo e io dall'altra».

Vi conoscevate anche prima di trovarvi alla Roma?

«No, no. Pinto lavorava in Portogallo quando io ero all'estero. Non c'eravamo mai incrociati. Il nostro è un rapporto di rispetto, anche formale. Io non gli do del tu, anche se lui potrebbe essere mio figlio, per me è il direttore».

Fermi al lei?

«Gli do del lei, del direttore, e mi restituisce il lei, per lui sono il mister. Non siamo sempre d'accordo, questo no. Lui ha un rapporto più diretto e costante con la società, perché fa parte del suo lavoro. Per tornare a tantissimo tempo fa, quando Dzeko andò via, fu durissima da accettare, una disgrazia. Tammy si è infortunato il 5 giugno, stiamo parlando di 63-64 giorni, e per me c'è un nome, ce n'è uno, perché io di solito sono molto obiettivo e pragmatico, ce n'è uno, ma non è possibile prenderlo, così mi è stato detto».

Morata?

«Ti dico solo che non è Mbappé».

Morata, su.

«Non è Mbappé, però penso sempre, anche quando non siamo d'accordo, che Pinto voglia le stesse cose che voglio io».

Sicuro?

«Sì, sono sicuro. L'obiettivo comune è che la squadra ottenga il miglior risultato possibile».

Parlami di Dybala.

«Quando è arrivato il primo di agosto e la clausola non è stata più esercitabile, ho dormito meglio, lui è di livello altissimo e per noi è oro, non possiamo rinunciare a lui. Quando siamo costretti a farlo perché è infortunato o perché è stanco o è rientrato cotto dalla Nazionale, sono guai seri. La sua qualità come giocatore non mi ha sorpreso per niente. È il bambino che mi ha colpito, io dico sempre che quelli bravi, bravi, bravi sono così: umili, rispettosi con i colleghi. Io sono passato attraverso tante generazioni, perché alleno come assistente dal '92 e anche da prima, dal '91, e questo ragazzo non è di questa generazione. È fantastico, ti dico io che è fantastico, la gente conosce il suo potenziale come giocatore, io posso dire che il potenziale come ragazzo non è per niente inferiore».

In estate hai ricevuto due offerte dall'Arabia.

«Al-Hilal e Al-Ahli».

Ci hai pensato?

«Sì. Prima di andare all'incontro ho informato la proprietà chiarendo che non avevo intenzione di accettare. A casa ho detto esattamente la stessa cosa. Per un lato mi sentivo prigioniero della parola data ai giocatori a Budapest e ai tifosi dopo lo Spezia, mimando la permanenza. Ma se mi chiedi se non ho accettato soltanto per questo motivo, rispondo di no, non solo per questo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

CONSIGLIATI