Bove: "La volontà è quella di restare alla Roma. Qui abbiamo creato un'armonia"
Il centrocampista giallorosso a laroma24.it: "Mourinho è speciale per l'empatia che crea con i calciatori. Dobbiamo giocare ogni gara come se fosse la più importante"
Edoardo Bove ha parlato direttamente dal ritiro in Algarve a laroma24.it. Il centrocampista giallorosso ha toccato vari temi nel corso dell'intervista: di seguito le sue dichiarazioni.
Due stagioni fa solo spezzoni in undici presenze totali, lo scorso anno un finale da titolare. Cosa cambia nel tuo approccio, nella tua testa, hai più pressioni? Hai obiettivi per quest'anno?
"Non parlerei di pressioni particolari, credo di aver raggiunto una consapevolezza dovuta al lavoro svolto negli ultimi due anni, sono contento di poter iniziare quest’anno al massimo delle mie capacità e possibilità e da questo punto di vista sono molto carico per iniziare la stagione al meglio".
Budapest: le lacrime tue, le nostre, di tutti, ci ripensi spesso?
"Eh, un pochino… Ogni tanto capitano dei flashback. Penso un pochino a tutti però…".
Però quel giorno il mister ha confermato di esserci ancora. Questa stagione qui come sta nascendo dal punto di vista delle ambizioni?
"Sta nascendo in modo simile alle altre stagioni, perché abbiamo sempre la stessa consapevolezza nei nostri mezzi, di quello che siamo sia come squadra in campo sia come gruppo, che va oltre il singolo, la singola partita o la singola stagione. In queste due stagioni abbiamo creato un’armonia che adesso ci portiamo avanti e che credo ci aiuterà molto in questa stagione".
Il mister ha detto di te, a parte del cane malato, forse ti ha fatto piacere…
"Sì, sì".
Ha detto che sei cresciuto molto a livello emozionale. Ora in quale aspetto ti senti di dover migliorare?
"Come ha detto il mister, e come credo sia normale, il percorso di un giovane passa per diverse tappe, ma la cosa più difficile è confermarsi e far vedere le proprie qualità volta dopo volta, non a sprazzi. La continuità è importante per un giocatore e il mio obiettivo è fare il mio lavoro, quello che mi chiede il mister, con continuità di rendimento e di prestazioni per aiutare il gruppo e me stesso".
La Roma cerca un altro centrocampista. A quel punto Edoardo Bove che cosa pensa? Potresti avere meno chance o potrebbe essere uno stimolo in più?
"Io penso a fare il mio e a migliorare me stesso sia in allenamento sia in partita come calciatore. Siamo contenti se arriveranno persone che aumenteranno la qualità della squadra, noi vogliamo essere competitivi. Poi è normale, la Roma è una grandissima squadra ed è normale ci si aspetti che arrivino grandi calciatori e da questo punto di vista poi giocare ed allenarsi con giocatori di un certo calibro internazionale aiuta anche me a crescere. Posso essere solo contento".
Al rinnovo non ci pensi?
"No no, la volontà è quella di continuare insieme. Io sto bene qui. Piano, piano…".
Mourinho è Special per antonomasia. Se dovessi scegliere una caratteristica che lo rende speciale?
"Secondo me l’empatia con i giocatori. Il rapporto che lui crea con i giocatori, non credo che tanti altri allenatori sappiano crearlo… In questo credo sia unico".
Cristante ha detto che l’obiettivo è la zona Champions. Secondo te cosa manca alla Roma per essere competitiva in campionato?
"Non credo manchi qualcosa. Lo scorso anno siamo arrivati a fine stagione gestendo due competizioni, poi è normale quando fai bene in tutte e due le competizioni lasciare punti per strada. Credo che noi dobbiamo mantenere il nostro spirito e giocare ogni partita come se fosse la più importante del mondo e andando avanti così credo che ci potremo togliere grandi soddisfazioni".
Due anni fa Zalewski, lo scorso anno tu. Qual è la difficoltà più grande che affronta un giovane nel passaggio alla Prima Squadra? E su chi punteresti oggi le tue fiches?
"Come aspetto più difficile, tra le differenze più grandi, credo ci siano il livello di intensità e concentrazione completamente differenti. In prima squadra, nel calcio professionistico, non ti puoi permettere rilassamenti o distrazioni durante una partita perché possono costare caro. Mentalmente è molto più difficile, devi stare più concentrato. Io già conoscevo i ragazzi che sono con noi in ritiro oggi, Pagano e Pisilli, continuo a seguire la Primavera e il settore giovanile, perché sono cresciuto lì dentro. Secondo me non è giusto fare un nome preciso, credo che per come lavora il settore giovanile tutti possono essere pronti a fare il salto, poi sta a ogni singolo ragazzo capire cosa è importante fare per il proprio percorso e ci tengo a sottolineare che ognuno ha il suo percorso. Per me rispetto a Nicola, che poi si è confermato, il salto è stato un percorso più progressivo. Ognuno ha la sua strada e deve lottare per andare più avanti possibile".
La Roma non ha vinto tanti trofei ma vanta questo senso di appartenenza, visibile poi nei giocatori che l'hanno rappresentata, da Totti a De Rossi fino a Pellegrini. Questa è una specificità del club o siamo noi tifosi che la raccontiamo?
“No, assolutamente. Questa cosa a Roma esiste. Non è un caso, da nessuna parte in Italia c'è questo tipo di affetto. C’è un percorso che i giovani ragazzi fanno a Trigoria, vengono fatti sentire parte di una comunità, del popolo romanista. Quindi si crea questo legame che va oltre il campo, che in Italia non credo abbia esempi simili. E penso sia la cosa di cui i tifosi e la società Roma debbano andare più fieri. Lo scorso anno dopo la finale, abbiamo perso sì, ma per molti di noi è stata la consacrazione di questo affetto. Siamo contenti di questo”.
La tua prima partita da spettatore allo stadio?
“Si può dire, era una partita di campionato, Roma-Cagliari. Ma la prima è stata in Champions League, una sconfitta tremenda con il Bayern Monaco. In campionato il Cagliari”.
E i poster in camera?
“Non ho mai avuto poster in stanza. Non è che sono vintage, è che non ne ho mai avuti. Magari foto mie di quando giocavo da piccolo, ce le ho ancora”.
La carriera universitaria cosa ti sta dando dentro il campo?
"Io cerco di fare entrambe le cose, perché so che vuoi o non vuoi una carriera da calciatore vola, 15 o 20 anni, spero 20, e uno si prova a tutelare per il futuro. Questo mi è stato insegnato e questo cerco di riproporre io, lo faccio perché credo sia importante per me, per avere cose anche oltre il calcio. Poi non so se mi serva in campo, semplicemente è una cosa che mi piace fare e mi concentro".
Tra dieci anni sarai soddisfatto se…
"2033… Non mi baso sulle aspettative di quello che vorrò fare, ma se sarò felice con quello che sto facendo, sereno perché la serenità è la cosa più importante, non avrò rimorsi. Da questo punto di vista sono uno che lavora e dà il massimo per quello che ama, nel 2033 penso che sarò felice per aver dato tutto e aver dato il massimo ogni giorno. Poi quello che viene è frutto del lavoro e se sono felice e sereno sarà perfetto".
Come hai fatto a dire amatriciana anziché carbonara?
"Allora… Ti dico che mi piace di più l’amatriciana".
E la carriera da tennista? C’era un bivio?
"Sì. Tecnicamente a tennis non ero così forte, ero molto bravo perché sono uno che non molla, avevo la preparazione atletica di chi gioca a calcio e tennis insieme. Destra e sinistra, riprendevo tutto, mandavo sempre la palla di là. Ho giocato fino a 12-13 anni, ero classificato, 305esimo. Sai, a quell’età c’è il bambino che non ci sta con la testa che dopo un po’ di palle che gli ributti sbaglia e io lavoravo sulla testa. Andando avanti poi non so se le mie caratteristiche sarebbero state utili nel tennis… In doppio mai. Ho però questo amico, Flavio Cobolli. Noi giocavamo insieme solo alla Roma e un giorno l’ho beccato a un torneo di tennis, io non sapevo che lui giocasse a tennis e lui non sapeva che giocassi a tennis. Poi lui ha il papà che è stato tennista, ora lui è 103esimo al mondo. Lo vado a vedere quando posso, lo vedo pure sul telefono. Mi piace tanto, è il mio secondo sport. A padel mi diverto, però è un'altra cosa. Ho giocato a tennis con Flavio questa estate, ma lui non si diverte. Il tennis è bellissimo, quando posso vado agli Internazionali".
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