AS Roma

40 anni di Romanismo

Il 24 luglio 1983 nasceva Daniele De Rossi. Il bimbo di Ostia che sognava di emulare papà Alberto, l’uomo che ha scritto la storia della squadra che ama. Noi in campo

PUBBLICATO DA Simone Valdarchi
24 Luglio 2023 - 08:00

È l’estate del 1983 e Roma è in festa. La città, impazzita di gioia per lo Scudetto vinto con Di Bartolomei, Falcao e Liedholm, si gode il successo e la Roma più forte di sempre. Proprio in quei giorni, il 24 luglio per essere più precisi, ad Ostia la famiglia De Rossi accoglie il nuovo arrivato, Daniele. Un bambino biondo e con gli occhi chiari, un romanista già campione d’Italia alla nascita, un uomo che farà la storia della Roma.
Quel bambino spegne oggi quaranta candeline. Tanti auguri, allora, a Daniele De Rossi, un tifoso della Roma – prima di ogni altra cosa -, che ha vestito la maglia giallorossa per diciotto lunghi anni, combattendo per lei e arrivando ad ereditare la fascia di capitano da un altro fenomeno senza tempo come Francesco Totti.
Prima di tutto questo però, riavvolgendo il nastro, troviamo quel bambino intento ad emulare suo papà Alberto che, prima di intraprendere con successo la carriera da allenatore, gira da anni i campi di mezza Italia, giocando tra la Serie C e l’Interregionale. Il Daniele bambino sogna quel futuro, ma non può sapere cosa il destino abbia in serbo per lui. Forse la prima avvisaglia la riceve a 9 anni, quando da Trigoria arriva la chiamata per entrare a far parte del settore giovanile della Roma. Daniele però declina. È ancora piccolo e gioca a pallone soprattutto, se non solo, per divertirsi e vuole continuare a farlo con i suoi compagni e amici dell’Ostiamare. Pochi anni più tardi però, alla seconda chiamata, De Rossi è cresciuto e, forse cominciando a coltivare il sogno di un domani da professionista, accetta la proposta e varca così le porte di Trigoria per la prima volta. 

Da lì parte una lunga storia d’amore reciproco, che fino a quel momento era stato univoco, con l’affetto di Daniele verso la Roma che poi è quello di ogni tifoso verso la sua squadra del cuore. Lo stesso sentimento nutrito da ogni romanista per quella maglia, baciata a ripetizione da De Rossi. Per questo di lui si è sempre detto che era noi, ma in campo. Questo gli ha scritto la Curva Sud nel giorno del suo addio alla Roma, in una sfida casalinga al Parma del 26 maggio del 2019. “Siamo tutti DDR”, recitava lo striscione quella sera, con migliaia di bandierine gialle e rosse, con su scritto il suo acronimo, a sventolare nel settore. Quel settore dove, una volta appesi gli scarpini al chiodo, De Rossi si è intrufolato per assistere ad un derby, finito poi 0-0, sostenendo i suoi amici da lì.
Se il 26 maggio del 2019 è il capolinea del De Rossi giocatore della Roma, gli inizi risalgono alla stagione 2000-01, quella del terzo tricolore vinto. Ufficialmente però il 16 non compare tra i campioni d’Italia, perché in quell’annata raccoglie soltanto una convocazione da parte di Fabio Capello, per la trasferta a Firenze. L’esordio arriva  il 30 ottobre del 2001, con lo Scudetto già cucito sul petto, in una gara di Champions League contro l’Anderlecht. La prima di 616 apparizioni, condite da 63 gol e 3 trofei - due Coppa Italia e una Supercoppa Italiana. In mezzo anche il trionfo in Germania, nel 2006, quando si è laureato campione del mondo con l’Italia. Ma per raccontare la sua carriera alla Roma non servono i numeri, le reti o i successi, basta ricordare che per 616 volte DDR si è infilato gli scarpini e ha combattuto per la sua Roma.


Difendendola, dentro e fuori il terreno di gioco, anche nei momenti più bui. Mettendola sempre al primo posto e chi ha provato a sostenere il contrario è stato smentito, anche recentemente, dai tribunali. Rinunciando per lei ad una carriera con tanti successi e più zeri nel conto in banca, rifiutando la corte di Chelsea, Manchester City e altre big in giro per l’Europa. Perché per De Rossi, come per ogni altro romanista, la vittoria è stata e sempre sarà un sogno prezioso, da coltivare, ma mai come condizione necessaria. Lui che si è definito di proprietà dei tifosi della Roma e un amore così non lo puoi comprare. Non ha prezzo.
«Ho un solo rimpianto: quello di poter donare alla Roma una sola carriera». In questa frase, c’è tutto Daniele De Rossi. Il mare di Roma. Il porto sicuro di ogni tifoso per 18 anni sul campo, per tutta la vita in ogni sua dichiarazione, passata e futura, e per l’eternità nel segno indelebile che ha lasciato. Finito il contratto con la Roma, De Rossi ha giocato alcuni mesi al Boca Juniors, per poi intraprendere l’esperienza da allenatore nello staff dell’Italia e alla Spal. Oggi taglia il traguardo dei quarant’anni e ha un futuro ancora tutto da scrivere. Un giorno, magari, diventerà anche l’allenatore della Roma. Il suo però non sarà mai un ritorno. Da quarant’anni, Daniele De Rossi è, prima di ogni altra cosa, un tifoso della Roma. Uno di noi.

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