Due anni di Mou e di noi
Il 2 luglio il tecnico sbarcava a Roma. Con lui, abbiamo raggiunto due finali di fila e vinto un titolo europeo. Ma, soprattutto, ci siamo riuniti
Sembra ieri, invece sono passati due anni esatti. Era il 2 luglio 2021 e dal cielo scendeva José Mourinho, lo “Special One”, annunciato dalla Roma con un tweet a sorpresa il 4 maggio. Sbarcava nella Città Eterna, accolto da circa 400 tifosi all’aeroporto di Ciampino, in un clima torrido, infuocato e impaziente di ripartire dopo annate bigie, tiepide e vagamente asettiche. Annate apatiche. Lui, invece, ha portato sole e caldo fin da quel primo giorno, facendosi sole lui stesso. Arrivato a Trigoria, dove a Trigoria lo aspettava una succursale piuttosto nutrita di Curva Sud, José ha dichiarato (senza parlare: non a caso è “Special”) a chiare lettere il suo manifesto programmatico; gli è bastato un indice, quello della mano destra, che ha indicato la Lupa capitolina presente nello stemma sulla sciarpa che la delegazione della società gli aveva dato a Ciampino. Quel gesto è stato un trattato di storia e filosofia, ed è valso più di mille parole. A voce, José lo ha ribadito qualche giorno dopo, in occasione della sua conferenza stampa in Campidoglio: «Non sarà la Roma di Mourinho, ma la Roma dei romanisti». È stato in quel momento, con quel gesto e poi con quella frase, che Mourinho ha davvero iniziato a cambiare la Roma.
Verso il trionfo
I momenti difficili non sono mancati, come in ogni storia d’amore che si rispetti: basti pensare alla disfatta di Bodø e allo sfogo post-partita del portoghese o al ko (con tanti errori/orrori arbitrali) nel suo primo derby. Ma, di pari passo con questi ostacoli, lungo il cammino ci sono stati attimi di pura estasi: la corsa sotto la Curva Sud dopo il gol di El Shaarawy al Sassuolo al 91’, o il derby di ritorno vinto 3-0 già all’intervallo. E poi quelle lacrime, quelle del 5 maggio 2022, dopo la vittoria contro il Leicester che ci ha regalato la finale di Conference League: lui l’aveva detto fin dall’inizio, che l’avremmo giocata per vincere. Quella cavalcata europea è stata possibile anche grazie alla formidabile, commovente, roboante spinta del pubblico, che dal 10 aprile 2022 (prima gara con la capienza di nuovo al 100% dopo la pandemia) ha riempito gli spalti dell’Olimpico, inondando squadra e tecnico di amore. Ad oggi sono 33 i sold-out consecutivi, 34 se si tiene conto anche di quello per la finale di Europa League, quando la gara di Budapest è stata vista sui maxi-schermi.
A Tirana è arrivato il trionfo tanto atteso, quello che da 61 anni ogni romanista sognava: un trofeo europeo, vinto ovviamente grazie a un 1-0 che è stato puro Mourinho. Astuzia, gol, compattezza, unità, difesa, grinta, determinazione, intelligenza tattica. Cuore. Tanto cuore, un cuore immenso. Quel 25 maggio siamo stati tutti - chi era in campo, chi sugli spalti, chi davanti a uno schermo - quella Lupa che José aveva indicato dieci mesi prima: le abbiamo dato corpo e voce, e questo grazie a lui, che al triplice fischio mostrava al mondo la mano aperta a indicare i cinque titoli europei vinti in carriera. E, di nuovo, le lacrime «per tutti i romanisti». A dimostrazione del fatto che sì, ci si può commuovere ed emozionare anche dopo aver vinto praticamente tutto in giro per l’Europa. Perché sembra assurdo, ma questo signore nato a Setubal comprende la Roma e sa cosa rappresenti meglio di tanti sedicenti tifosi, che non vedono l’ora di vederla cadere per emergere dalla propria tana sotterranea.
Vicini al bis
Al netto delle continue attenzioni riservategli da arbitri e ispettori e giudici sportivi vari per la sua tendenza a non usare giri di parole né ipocrisie, Mourinho è andato avanti, lanciando l’assalto all’Europa League. Grazie alla sua presenza, è stato possibile portare in giallorosso prima Matic e poi Dybala, operazioni pressoché impensabili prima del suo arrivo. Ancora una volta, il palcoscenico continentale ha riservato le emozioni maggiori, con la cavalcata che ci ha condotto fino a Budapest. Cavalcata che stava per interrompersi il 20 aprile; anzi, all’80’ di Roma-Feyenoord era virtualmente chiusa, con l’1-1 che stava maturando all’Olimpico. Lì, un lampo di Dybala ha spianato la strada ai supplementari, ma il 4-1 finale - non ce ne voglia la Joya - è stata la dimostrazione del valore aggiunto rappresentato da José Mourinho. In quel momento la Roma ha riscritto la sua storia, volando in semifinale. Il doloroso epilogo con il Siviglia è una ferita ancora aperta, ma le parole pronunciate dal portoghese alla squadra subito dopo la gara, unite al gesto «resto qui» rivolto ai tifosi dopo Roma-Spezia, rappresentano il più importante mattoncino su cui si sta costruendo il futuro giallorosso. Con l’ambizione di riprovarci, di dare ancora battaglia. Con la consapevolezza e l’ambizione che prima del suo arrivo in pochi erano riusciti a dare a questa squadra e a questo club.
Se le ultime due stagioni ci hanno fatto vivere emozioni mai provate prima (o provate soltanto di rado, tanto tempo fa), gran parte del merito va a lui, oltre che ai Friedkin, a Pinto e alla squadra. Perché è dal suo arrivo, quel pomeriggio torrido di inizio luglio di due anni fa, che abbiamo cominciato a riscrivere la storia, la nostra storia. Ma il libro non è ancora finito e, con Mourinho a guidarci, la speranza di tutti i romanisti è che il capitolo più bello di tutti debba ancora venire.
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