Il discorso del Re: lo Special One e la rivelazione ai suoi uomini
Al termine della finale, Mou ha rivelato ai giocatori: «Voglio restare per voi». Ma vuole garanzie: «Meritiamo di più». In due anni non le ha mai mandate a dire
No, forse, sì ma con riserva. Il borsino sulla permanenza a Roma di José Mourinho continua a seguire necessariamente le sue esternazioni. Una raffica nell’amarissima due giorni di Budapest, accompagnata da una speculare raffica di interpretazioni. Anche perché la stagione chiuderà fra soli due giorni, nella gara casalinga contro lo Spezia alla quale lo Special One non potrà prendere parte dalla panchina perché squalificato e di conseguenza non parlerà nella rituale conferenza. E allora restano negli occhi quelle al termine della finale di Europa League, rivolte prima alla squadra in quello struggente cerchio prima dell’abbraccio con gli oltre ventimila romanisti presenti; poi alla stampa. Questa volta il senso è unico: «Voglio restare con voi (i giocatori, ndr), ma meritiamo di più».
Concetto poi ribadito qualche minuto più tardi nel confronto coi media: «Voglio lottare per avere di più. Sono un po’ stanco di essere allenatore, uomo di comunicazione, quello che ci mette la faccia per dire che siamo stati derubati. Sono un pochino stanco di essere tutte queste cose. Però voglio rimanere, con le condizioni per dare di più. Nella prossima stagione non giochiamo la Champions e penso sia una buona notizia: può sembrare paradossale, ma non siamo ancora una squadra da Champions. Dobbiamo vincere domenica per giocare l’Europa League e tornare nelle competizioni europee».
Il riferimento nemmeno troppo velato è alla società e all’ambizione dei programmi futuri. Come noto il club è alle prese coi paletti imposti dal fair play finanziario e non tira aria di spese imponenti sul mercato. Ma già in tempi non sospetti Mou aveva chiarito che la rosa a disposizione sarebbe stata troppo ristretta per puntare a traguardi di primissimo livello. Concetto ribadito più volte, fin dalla scorsa estate, quando fu intercettato un suo eloquente «Sono un po’ frustrato per il mercato», definito poi all’alba della stagione «un mercatino da sette milioni» (i soldi spesi per il cartellino di Celik, unico ingaggio non a parametro zero). Una critica forte, sia pure camuffata con la solita maestria dialettica: «Devo fare un plauso alla società perché ha portato 5 giocatori di altissima qualità per soli 7 milioni, ma io non vendo né racconto storie. Dico la verità. E la verità è che non bisogna dire che siamo candidati allo scudetto».
Una verità, quella di Mou, ripresa in più occasioni: da «se arrivassimo in Champions sarebbe un miracolo», quando la Roma era terza in classifica; a «senza infortuni forse avremmo potuto farcela, non abbiamo cinque giocatori dello stesso livello per ruolo», nella fase in cui i ko hanno iniziato a decimare la squadra e si è perso terreno prezioso e decisivo per i primi posti.
D’altra parte José non le ha mai mandate a dire e i Friedkin sapevano a cosa si andava incontro da questo punto di vista fin dal momento del suo ingaggio. «C’è bisogno di tempo - le prime dichiarazioni del portoghese al momento del suo insediamento ufficiale da tecnico romanista - che è una parola chiave che è stata molto importante quando ho parlato con la proprietà di questo progetto». E alla vigilia del suo ultimo anno di contratto aspetta un segnale dal vertice: che il processo di crescita possa proseguire. Lo chiede Mou per restare, lo chiedono i tifosi per continuare a pensare in grande. Tempo ce n’è, ma non moltissimo.
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