Lacrime di Joya perduta: l'orgoglio senza fine di Dybala
La lunga rincorsa alla finalissima di Budapest, la rete dell’illusione e poi la beffa nella lotteria dei rigori. Le struggenti lacrime di Paulo come punto di ripartenza
Un pianto inconsolabile, lo stomaco che sussulta e spezza il respiro, quasi a mandarti in apnea per pochi secondi, ma quando poi tenti di riprender fiato senti una fitta alla bocca dello stomaco che ti paralizza e non ti lascia scampo.
È il dolore sportivo che Paulo Dybala ha mostrato al mondo intero a pochi secondi dal termine della lotteria dei rigori contro il Siviglia. Com’è strana la vita che in pochi mesi lo ha reso l’uomo più felice del mondo, proprio grazie ad un rigore trasformato da Montiel. E invece alla Puskas Arena quello che il connazionale gli aveva dato in Qatar, in un colpo solo (anzi due, con lo zampino del VAR) alla fine gli ha tolto.
Un’emozione pura e senza filtri che ha rappresentato in pieno lo stato d’animo di milioni di tifosi, di chi aveva raggiunto Budapest in aereo, in treno, in macchina, in furgone, impiegando un’ora e mezza o sedici, come il tifoso di Hong Kong che mai si sarebbe perso la Roma in finale. Ed era il pensiero costante della Joya degli ultimi giorni: la caviglia non era al meglio, la condizione non al top ma lui non avrebbe mai rinunciato alla notte di Budapest. E negli ultimi giorni, quando la voglia di giocare era talmente tanta, ha detto a Mourinho: «Mister, io ci sono».
Lo Special One ci ha riflettuto, ha studiato le caratteristiche del Siviglia, il possibile piano gara e ha deciso che la carta Dybala l’avrebbe giocata subito, dal primo minuto, sorprendendo tutti, giornalisti ma soprattutto Mendilibar, che aveva evidentemente studiato una partita senza l’argentino in campo. E il piano gara aveva dato i suoi frutti: Cristante che lotta a centrocampo, Mancini che manda in profondità la Joya: controllo e mancino all’angolino. Il boato della Puskas Arena in quell’attimo fuggente ma eterno, rimarrà per sempre con noi. L’esultanza dell’argentino ha poi raccontato settimane intere vissute in un clima di incertezza, di sedute fisioterapiche, di convivenza con il dolore che lo allontanava gradualmente dalla finalissima. E invece il lavoro, l’attesa e la voglia di esserci lo aveva portato ancora una volta a fare quello che gli riesce meglio: la differenza.
Non è bastato e le lacrime hanno continuato a rigare il suo volto per minuti interminabili, mentre fissava il vuoto e veniva consolato da tutti i suoi compagni. «That’s football» gli ha sussurrato con il fare di un fratello maggiore Matic. Paulo lo sa ben, ma non può rimproversi nulla. È uscito quando aveva dato tutto, quando ogni fibra muscolare si era arresa alla fatica, quando l’ultimo briciolo di adrenalina lo aveva abbandonato. E quel rigore, che avrebbe voluto battere, è rimasto lì nella lista dei suoi rimpianti, in una notte maledetta che ricorderà per tutta la vita.
Ma il campione ha sempre la voglia di ripartire, non vede l’ora di tornare in campo per riprendersi la rivincita. «Giocare per questa squadra non è solo uno sport o un lavoro ma un ONORE. Abbiamo gioito insieme durante questo percorso ed anche pianto, lacrime di sofferenza che dimostrano il valore che abbiamo dato per questa gente. Forza Roma sempre» il messaggio che ha affidato ai suoi account social. Il contratto dice Roma, ma le sirene di mercato non mancheranno, complice una clausola per l’estero dai contorni economici molto invitanti. Ma per uno che piange in quel modo con la maglia giallorossa indosso, è difficile pensare che le strade possano dividersi tra pochi mesi. Perché Paulo vuole vincere e farlo con la maglia della Roma.
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