Budapest piange, l'orgoglio attutisce
Solo applausi e comunione prima, durante e dopo la partita. Alla fine la doccia gelata. I giocatori finiscono in curva, come a Tirana, consolati
Un unico abbraccio tra la squadra e il suo pubblico. E un sentimento di orgoglio tremendo. Dopo la partita forse più lunga della storia. Un sostegno infinito. Che non finirà. Non finisce neanche dopo una botta tremenda, ma attutita dall’orgoglio tremendo di cui sopra. Non finisce ai rigori, con una finale persa. Perché le finali le perde solo chi le gioca e i rigori li sbaglia solo chi li tira. O la va o la spacca. È andata a prendersi gli applausi della gente, la squadra, dopo una serie infinita di capannelli, di unione, di cuore oltre l’ostacolo, dopo l’illusione del gol del vantaggio di Dybala. Sono finiti dentro la curva come a Tirana, ma per essere consolati, stavolta. Tante partite in una. Tanti episodi, di cui si parlerà a tempo debito. Perché ieri sera era solo il momento delle emozioni. I capannelli tra un tempo supplementare e l’altro. Con la panchina a richiedere ancora uno sforzo al pubblico, quasi atterrito da supplementari e dallo spettro dei rigori. Fino al giro di campo della squadra, che ha applaudito insieme al tecnico anche i tifosi avversari.
Un giro di campo speciale per José Mourinho, primo a prendersi la medaglia e a “offrirla” con un gesto che rimarrà per sempre negli occhi di un bambino qualunque che l’ha raccolta, prima che lo Special One guadagnasse gli spogliatoi. Con Ryan Friedkin sceso sul terreno di gioco per la cerimonia di premiazione. Rimarranno i cori a squarcia gola della curva Sud, i due inni cantati a cappella, rimarrà la gente romanista che ha rivissuto l’atrocità del calcio, ma anche la sua bellezza: a volte si prende, a volte no, ma resta sempre la possibilità di sognare ancora.
La giornata di festa
Budapest è bagnata dal fiume più lungo dell’Europa centrale. E quel fiume ieri erano i tifosi della Roma. Il Danubio sembrava il Tevere, l’isola Margherita sembrava l’isola Tiberina e la bandiera ungherese, rovesciata, faceva sembrare tutto più vicino. Un solo cuore, che batteva all’interno dei petti romanisti, giunti nella capitale del Paese che ospitava la finale di Europa League, vestita a festa per l’occasione, dimentica, per una volta della sua grandezza, raccolta però intorno alla sfida da tre le due squadre latine, il Siviglia e la Roma.
Fin dai giorni precedenti i sostenitori di entrambe le squadre sfilavano in città pacificamente con maglie e sciarpe addosso, regalando festa e rimbombo sui palazzi imperiali del centro e sulle rive del Danubio. Ieri Budapest era una sfida di cori a cielo aperto, in piazza, di fronte alla chiesa di San Mattia, a un centinaio di metri dall’hotel Hilton che ospitava la Roma (chissà cos’avranno sentito i ragazzi dalle loro finestre con vista stadio), dove giganteggiava la riproduzione della coppa. In metropolitana, nei pub. Ovunque. Nei caffè italiani suonavano gli inni della Roma, tra un gulasch e una pizza “margherita” e l’altra.
Un fiume romanista, poi, ha percorso da Piazza degli eroi, “boccaporto” del City Park, l’oasi naturale in pieno centro, meeting point per gli oltre 20 mila romanisti arrivati (da tutta Italia, in realtà, perché friulani, veneti, pugliesi tanto per dirne alcuni non sono stati casi isolati) e via terra e via aerea. Sicuri che se ci fosse stato il mare in Ungheria, sarebbero venuti anche a nuoto. Un corteo di fumogeni giallorossi e cori, inni, festa. Fino all’ingresso nell’ampio settore. Che poi, chiamarlo così è davvero riduttivo in quanto giallorosso era davvero mezzo stadio ieri. Qualche mix di tifosi ovviamente anche sulle due tribune laterali. Alcuni imbuti e alcuni disagi all’entrata si sono creati, ma non sono stati segnalati problemi enormi. Tutti dentro, poi.
«Guarda a destra», diceva De Rossi quando entrava in campo, quella curva che ha battezzato lui, Totti, il capitano di oggi Pellegrini e prima di loro Giannini, Agostino e Losi, insomma i figli di Roma, le bandiere. Un vanto immenso. Quella curva ieri di tre anelli, che ha fatto sembrare la Puskas Arena di Budapest il nuovo stadio della Roma che verrà. Hanno aspettato i tifosi andalusi, fischiando al loro, come al solito quando si parla di spagnoli, tardivo ingresso nell’impianto. Le abitudini non si cambiano. Come quella del boato che ha accolto Lorenzo in borghese, prima, José Mourinho (con tanto di coro dedicato) concentratissimo prima della gara, e tutti gli altri ragazzi per il riscaldamento.
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