Scatta cavallo pazzo
Le scorribande di Mario Appignani. Dalle invasioni di campo accanto alla “sua” Roma a Venezia e Sanremo, tra leggenda e rivoluzione
Saltella sul posto, sollevando le ginocchia quasi al petto. Piega il busto in avanti, sfiorando alternativamente con la mano il piede opposto. Effettua una serie di lente rotazioni della testa. Sempre più concentrato. Come un atleta prima della gara.
«Daje Mario, t’aspettamo sotto», dice alle sue spalle una bocca di passaggio.
Quello del riscaldamento è un rituale che precede quasi tutte le incursioni di Mario Appignani, in arte Cavallo Pazzo. Una specie di stretching motivazionale che gli permette fulminanti scatti. Scatti impossibili da arginare se non dopo qualche metro, quando sono già entrati a far parte della storia del nostro Paese. L’arbitro fischia l’inizio della partita.
Mario termina il riscaldamento e, infilato il boccaporto, sbuca sugli spalti della curva. Quella domenica i protagonisti in campo non saranno solamente ventidue. 20 novembre 1994, Brescia-Roma, Stadio Rigamonti. Violenti incidenti pre-partita, bombe carta come colpi di mortaio, densa foschia di lacrimogeni.
Naso e bocca coperti dal giallorosso della sciarpa, Mario si dirige verso la recinzione che separa le gradinate dalla pista. Raggiunge, concentrato, un gruppo di ultras romanisti che già lo aspetta da qualche minuto. Consegnato il cappotto a uno di loro, consegna sé stesso a una moltitudine di mani che lo innalzano al di sopra del cancello, creando i presupposti per il suo ingresso in campo.
Scatta veloce, Mario. Scatta fulmineo, accumulando metri di vantaggio su carabinieri e poliziotti che potrebbero fermarlo. Scatta, con le sue scarpe finto cuoio - suola liscia, che lo accompagnano in tutte le sue imprese. Scatta, il vento che gli gonfia l’enorme sformato maglione che - abbandonata giacca e cravatta - quel giorno insolitamente indossa. Scatta, nerovestito, i calzini di spugna come due anelli bianchi alle caviglie.
Già durante il primo tratto la sua mente comincia a correre anche lei, però all’indietro. Indietro di giorni, settimane, anni, mentre sotto le sue scarpe sfilano come un tapis roulant - metri di prato, asfalto, legno - le mille superfici delle sue invasioni più eclatanti.
14 settembre 1991, Festival del Cinema di Venezia, piazza San Marco. Prestigiosa platea internazionale, straordinario evento trasmesso in Eurovisione. Se riuscirà a salire su quel palco, milioni di persone assisteranno in diretta al suo “fuori programma”. Deve farcela. Il fallimento non è contemplato.
Alle due di pomeriggio tutti gli accessi alla piazza vengono bloccati. Uno smoking bianco, affittato in una sartoria teatrale, gli permette di mimetizzarsi tra i camerieri dello storico Caffè Florian rimanendo così all’interno dell’area chiusa al pubblico. Allestimento sedie, prove tecniche, arrivo degli invitati. Intorno alle 20.30, poco prima che cominci la diretta, munito di un vassoio con sei bicchieri di Spritz, Cavallo Pazzo si avvia deciso verso la prima fila. Gianni De Michelis (Ministro degli Esteri), il suo omologo tedesco Hans-Dietrich Genscher, i registi Mario Monicelli, Jean-Luc Godard, Peter Greenaway e l’attore Gian Maria Volonté accolgono il drink con entusiasmo.
Quando Appignani torna con un altro vassoio carico di bicchieri dirigendosi ancora più deciso verso il retropalco, gli addetti alla sicurezza, ormai convinti che il servizio degli ospiti VIP sia demandato a lui, si affrettano a farlo a passare. Nella ventiquattrore che Mario nasconde sotto il vassoio c’è l’abito che indosserà per l’intrusione. Si infila nel sottopalco per cambiarsi.
«Buonasera signore e signori!», esordisce Pippo Baudo. In quel momento Cavallo Pazzo irrompe in scena e gli si affianca. Con i suoi tre metri di apertura alare, il conduttore cerca di tenerlo lontano dal microfono ma la voce di Appignani risuona comunque in tutta Europa. 26 febbraio 1992, Festival di Sanremo, Teatro Ariston. «Ci vediamo stasera sul palco».
Questo è il testo del biglietto che, a poche ore dall’inizio della diretta, viene recapitato nella stanza 520 dell’Hotel Royal. Destinatario: Pippo Baudo Mittente: Cavallo Pazzo.
Per ordine del Questore di Imperia, a cui il presentatore - preoccupato - si è rivolto, i controlli fuori dal Teatro vengono notevolmente rafforzati. Foto segnaletiche di Mario Appignani circolano tra gli addetti alla sicurezza. Alcune sono state addirittura affisse - come i manifesti dei film western - sui muri del backstage e nei corridoi dei camerini. Posti di blocco a ogni angolo di strada. Pattuglie a piedi con cani antiCavallo.
«È tutto sotto controllo!». Il Questore rassicura Pippo Baudo. Purtroppo per lui l’istrionico talento di Mario Appignani viene però stimolato dalle sfide più difficili. È riuscito a sapere l’orario di convocazione degli orchestrali. Qualche minuto prima, si apposta a venti metri dall’ingresso artisti. Inginocchiato sull’asfalto, schiena rivolta alla security, finge di frugare all’interno di una custodia di violino (presa in prestito da un amico rigattiere) e di rimettere in ordine spartiti. Quando arriva il primo gruppetto si alza in piedi, quando sopraggiunge il grosso della truppa si unisce ai suoi colleghi. Forte dell’autorevolezza che gli deriva da strumento trasportato e compagnia in cui si è appena inserito, riesce abilmente a intrufolarsi. Arrivato nel backstage vede la sua faccia su uno dei manifesti “Wanted”. Adrenalina.
Poi si avvicina al palco e sente risuonare la sigla dell’Eurovisione. Adrenalina e cortisolo. Un uomo con cuffie e copione sembra però averlo notato. Gli si avvicina. Mario cerca di allontanarsi. La mano sprovvista di copione lo afferra per un braccio provando a trattenerlo. Una mano a cui potrebbero in un attimo aggiungersene altre, negandogli il suo posto nella storia del Festival. Allora scatta Mario, riuscendo a divincolarsi, conquistando il palco e annunciando la vittoria di Fausto Leali, prima che un esercito di repressori giacca e auricolare piombino rapaci su di lui, ripristinando la sacralità violata.
20 novembre 1994, Brescia-Roma, Stadio Rigamonti. Corre Mario, sfuggendo a una mano che cerca di agguantarlo. Occhi e telecamere tutti su di lui, corre arrivando a centrocampo dove, fagocitata da corpi, come sempre la sua fuga si spegne. 20 novembre 1994: la sua ultima incursione. Mario Appignani, in arte Cavallo Pazzo, muore a Roma il 13 aprile 1996.
*Patrizio Bati è autore del romanzo “Noi felici pochi” (Mondadori, 2019), da cui la società Cross Productions sta sviluppando un film.
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