Legittime difese
Si dice: devi giocare bene, devi essere più forte dell’arbitro. Ma da quando l’arbitro fa parte della competizione o diamo per scontato che siano contrari a qualcuno?
La Roma ha perso, viva la Roma. Sì, magari. Una volta, forse. La Roma ha perso per colpa dell’arbitro? Non esiste domanda più superficiale per una partita di calcio.
Lo sforzo di cercare di capire se è nato prima l’uovo o la gallina è fine a se stesso, quanto meno per Roma-Sassuolo (ma si potrebbero citare tante altre partite) che è il classico esempio di un cane, anzi di un lupo che si morde la coda. Ci si chiede: la Roma ha perso per colpa dell’arbitro o di se stessa? La domanda è mal posta, direbbe Quelo Guzzanti. “Forse volevi chiedere che ore sono?”, verrebbe da sdrammatizzare.
Eppure questo bisogno di spaccarsi su tutto, pure su temi come certi arbitraggi che in passato hanno unito il popolo giallorosso e non solo, resta un mistero del calcio moderno tutto frame, screenshot, linee tracciate, mainstream, radio e social network. Provando a rielaborare Roma-Sassuolo ventiquattro o trentasei ore dopo, si gioca ancora a cercare un colpevole, meglio se quello che avevamo incolpato prima. Si può analizzare l’incidenza dell’uno o dell’altro fattore, senza trovare per forza le percentuali esatte o trovarle in accordo, ma già sarebbe un’analisi meno superficiale.
Si dice: devi giocare bene, devi essere più forte dell’arbitro. Ma da quando l’arbitro fa parte della competizione? Da quando diamo per scontato - oltre che accettiamo - che gli arbitraggi siano contrari a qualcuno? E ancora: ma se tu protesti in continuazione non ti puoi meravigliare di certi arbitraggi. Potrebbe essere finanche “umano”, ma da quando un arbitro, che ha lo strumento per ammonirti o cacciarti se ti comporti male, è autorizzato a una ritorsione sul campo attraverso il suo giudizio? Senza scomodare il signor mani in tasca Serra e le sue provocazioni, da quando un arbitro può scendere al tuo livello di allenatore urlatore? Si dice: parlare degli arbitri quando si perde crea alibi ai giocatori o agli allenatori. E sposta l’attenzione.
Infatti bisognerebbe parlarne anche quando si vince o non si perde (Aureliano docet con Strefezza). Si dice che parlare degli arbitri non aiuta a crescere. Premesso che il calciatore dovrebbe crescere nel suo lavoro, con i dettagli di ogni giorno di allenamento e con la sua ambizione e la fame di arrivare, indipendentemente da quello che accade in campo, dai risultati della propria squadra e dagli arbitraggi, il punto di non rottura è che non si devono confondere alibi e ragioni. Si può parlare dell’arbitraggio e si può parlare della prestazione di calciatori e allenatori. I limiti e gli errori tecnici o tattici di una squadra sono una cosa, le sviste arbitrali o certi indirizzi delle direzioni di gara sono un’altra cosa. Sono due rette parallele che però alla fine si incontrano e spiegano la superficialità della domanda di cui sopra. Sono due discorsi diversi che però condizionano l’un l’altro e non è sempre detto che uno sia così preponderante sull’altro. Come per Roma-Sassuolo, dove arbitro e Var hanno sparato sulla croce rossa di una prestazione che resta inadeguata. Si dice: parlare degli arbitri ha stancato. Sapessi a noi.
Per paradosso: si può partecipare al famoso concorso truccato e spaccarsi la schiena per cercare di passare lo stesso, perché “devi gioca’ bene”. Sì, si può fare, anzi con più realismo del re, si “deve” fare così. Ma non si dovrebbe.
Il giorno che i romanisti non avranno bisogno di difendersi (anche) da altri romanisti sarà un giorno di gloria per la Roma. Sarà meglio di una qualificazione in Champions, sarà un trofeo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA