Bene o Male
Con il suo condottiero Mourinho regolarmente in panchina, la Roma affronta i rivali bianconeri in una sfida che va ben oltre i punti in palio
Per quanto la globalizzazione almeno nel calcio abbia remato al contrario - e quindi si è notevolmente alimentata la rivalità con chi ci vive accanto e si è sfumata quella con chi ci sta lontano, nonostante da questi parti si senta molto abbaiare, ma da sempre i morsi sono arrivati da fuori - l’espressione che si è sentita maggiormente evocare nei dibattiti di Radio Romanista di questa settimana è stata una: Roma-Juventus sarà per sempre il confronto tra il Bene e il Male.
Non che vogliamo presuntuosamente rimarcare il fatto che da queste parti si sia sempre fatto bene, non è questo il centro della questione, quanto sia inoppugnabile che gran parte del male del calcio italiano sia stato incarnato dalla società che si fa un vanto di sostenere che vincere sia l’unica cosa che conta. E invece no.
Su questo un grande filosofo dell’era moderna, Zdenek Zeman, sentenziò come fosse cassazione una frase che merita di essere iscritta sopra una lapide sulle rovine del calcio italiano distrutto da vari scandali nel corso delle diverse epoche: «Io non voglio vincere ad ogni costo, io voglio vincere». Sembra una differenza sottile ma è l’invalicabile confine tra il bene e il male, almeno nello sport. Nessuno si sognerebbe mai di contestare alle squadre più forti espresse dalla storia di questo sport l’infrangibilità del loro primato quando è stato ottenuto attraverso la bellezza del gioco e dei campioni che l’hanno interpretato. Si potrebbero fare tanti esempi, ma non è questo il punto. Ciò che nessuno ci toglierà mai dalla testa è che invece una sostanziosa fetta della torta di tutti i successi della Juve (la grandezza della fetta la lasciamo alla soggettività del lettore) è stata intossicata da comportamenti antisportivi tipici di chi nelle competizioni non vuole vincere, ma vuole vincere ad ogni costo, e quindi vuole farlo anche quando potrebbero vincere gli altri.
L’ultimo scandalo appena emerso del calcio italiano (che, inevitabilmente, dalle parti di Torino qualcuno sta cercando di ricondurre ad una persecuzione di un pm di diversa religione) è solo l’ultimo esempio di una lista che ha toccato tutte le possibili nefandezze pensabile da chi ragiona solo seguendo quello slogan. Ecco perché agli occhi di uno sportivo vero quel club non può mai rappresentare un esempio e quando il calendario te lo mette davanti non pensi ad altro che abbatterlo, come se fosse davvero l’unica cosa che conta.
Ad ogni costo. Perché il problema di chi la franca barando, non è solo rappresentato dal male perpetrato, ma anche dallo spirito di emulazione che può generare. Lo stesso che Moggi nei vari processi in cui è stato condannato portava a sua giustificazione: «così fan tutti».
Quel che faceva lui, con il permesso del papà di Andrea Agnelli, è stato smascherato da diversi tribunali. Quel che invece ha combinato il figlio di Umberto Agnelli lo stabiliranno altri tribunali, mentre lui sta cercando ancora di organizzare qualche bella confraternita di scaltri dirigenti per imporre qualche altro modello di Superlega in cui decidano partecipanti, premi e soprattutto arbitri, magari con la loro compiacenza. Noi da queste parti invece agli arbitri siamo sempre stati legati da un rapporto di reciproca diffidenza perché hanno spesso rappresentato quel che Serra ha svelato in diretta tv da Cremona: il disprezzo pregiudizievole nei confronti di Roma e dei suoi interpreti.
Per fortuna alla Procura Federale si sono accorti che questi comportamenti sono da stigmatizzare e intanto hanno sospeso la squalifica ingiustamente inflitta a Mourinho dopo il rosso di martedì. Oggi il portoghese sarà regolarmente al suo posto in panchina, a cercare una vittoria che alla Roma contro questi rivali manca in assoluto dal 1 agosto 2020 e all’Olimpico dal 12 maggio 2019. E farlo attenuerebbe sensibilmente la delusione provata a Cremona e darebbe nuovi impulsi nella corsa verso un posto in Champions.
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