E i mainagioisti muti
La grande prova col Salisburgo zittisce l’immancabile “tecnico” pessimista che sputa sentenze e presunte verità. E che, al fischio finale, si ritrova ignorato da tutti
Poi c’è quello che, parlando al plurale, come affacciato da una finestra, di domenica, intorno a mezzogiorno, pontifica: "È un sedicesimo di Europa League, non una finale. E poi non capisco come vi piaccia Mourinho. Mai vista una Roma così brutta". Nemmeno il tempo che qualcuno organizzi una replica, che aggiunge: "E poi Pellegrini. Tutti a sperare che oggi giochi Pellegrini. Un mezzo giocatore, il più scarso di sempre". Praticamente, nemmeno il tempo di sedersi in Tribuna che la necessità di aprire un dibattito è più forte della voglia di passare oltre. Anche perché tanta fermezza nel distribuire giudizi, tutti negativi, lascerebbe intendere una competenza, a monte, che nemmeno al supercorso di Coverciano.
Ed in effetti, una manciata di secondi e si scatena il certame. Da una parte, lui, l’uomo che non parla a te, ma a tutti; dall’altro, un gruppo di tifosi che, evidentemente, la pensa come un sol uomo. E che, incassata la sentenza sulla irrilevanza di una partita così lontana da Budapest, sulla mancanza di gioco, sull’incapacità di Mou, si inserisce subito nel dibattito lasciando che il più anziano tra loro rivolga prima una domanda retorica ("Famme capì, come ce voi arrivà in finale se prima non vinci i sedicesimi?") per, poi, entrare subito nel vivo della questione tattica, stanando il suo avversario per portarlo sul terreno non delle fresi fatte ma del confronto serrato ("Ma come fai a dì che uno ha vinto tutto non c’ha un gioco? Se ha vinto tutto, dovunque è annato, è perché un gioco ce l’ha. Poi, te po' nun piacè, ma questa è ‘n’antra storia"). A quel punto lui, quello che parla a tutti, nel tentativo di assestare il colpo definitivo, se ne esce con un "Il gioco ce l’ha Spalletti, ce l’ha Sarri, non Mourinho", che sortisce l’effetto non solo di non scalfire minimamente il convincimento dei suoi contraddittori ma, e soprattutto, di esporlo ad una replica facile facile: "No, il gioco ce l’ha pure Mourinho. Se solo pensi che ce so state partite che nun c’hanno mai tirato in porta. Forse no perché s’era sgonfiato er pallone, ma perché la Roma era messa così bene che quell’altri non sapevano come fà. E semo terzi in campionato. E stamo a giocà in Europa". A quel punto, il dibattito veniva momentaneamente chiuso, senza ulteriori repliche, dalla necessità di preoccuparsi per la punizione contro, dal limite, e per l’ammonizione di Ibanez. Ma bastavano pochi minuti, con la Roma che iniziava a macinare gioco ed occasioni, che la contesa riprendesse ("Guarda come stamo a giocà! Quelli so costretti sempre a raddoppià su Spinazzola mentre, dall’altra parte, non ce riescono con Zalewski perché Pellegrini se infila in mezzo e Mancini sale. E tu me dici che nun c’avemo gioco"). Per, poi, infiammarsi, dopo che Belotti e Dybala avevano dato un senso alla strapotenza tecnica ed atletica di Spinazzola ("Ce sò mancati i giocatori, non er gioco. Quello c’è sempre stato"), e dopo che Pellegrini aveva dimostrato, semmai ancora necessario, che avercene di giocatori come lui ("Hai visto che palla j’ha dato a Spinazzola? J’ha aperto na prateria. Ancora a dì che nun va bene. Ma lascia perde"). Si arriva, quindi, all’intervallo con lui, quello che parla a tutti, che tenta di argomentare, in maniera confusa, una qualche replica per dire che si, va bene, siamo contenti, però ("Ma te pare che col Salisburgo adesso dobbiamo giocare il secondo tempo con la preoccupazione che segnino? Dovevamo chiuderla a casa loro").
Ma il tentativo di trovare un qualche appiglio per giustificare la sua critica svanisce mano mano che il secondo tempo dimostra quello che il suo duellante tanto chiaramente aveva indicato, e cioè che le squadre avversarie hanno serie difficoltà ad arrivare in porta ("L’hai contate le occasioni che c’hanno avuto? E i calci d’angolo?"). E quando, poi, Pellegrini si produce in un recupero all’interno della nostra area, con tanto di ripartenza, l’incontro può dichiararsi chiuso ("Sta dovunque, e la gioca sempre bene. Nun parlà più, famme er piacere").
Finisce, quindi, con la Tribuna in piedi. Con molti che vorrebbero che la stagione riniziasse ora ("Hai visto come stanno adesso Spinazzola, Belotti e Gini? Se ce l’avessimo avuti così dall’inizio …"). Con molti altri che si domandano se davvero, a questo punto, dopo i falsi passi che abbiamo avuto, si sia presa la strada giusta e definitiva, quella che ci deve portare a Budapest passando per la zona Champions. Con altri, ancora, che guardano addirittura alla cessione di Zaniolo come ad un evento positivo ("Hai visto? Annato via lui, là davanti giocano più sereni"). Ma, soprattutto, con lui, quello che parla a tutti, che, per una sera, non ha più altro da aggiungere. Se non un "Stasera abbiamo giocato bene, invece non a Salisburgo e col Lecce" che cade in un’indifferenza rumorosa. Perché a tutto c’è un limite. Anche alle provocazioni.
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