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La Roma rimonta e passa agli ottavi di Europa League grazie alle reti di Belotti e Dybala con due assist di Spinazzola. L’Olimpico in delirio
Sono le notti della Roma di Mourinho queste, quando la qualità si somma alla quantità, quando un contrasto di Mancini conta quanto un ricamo di Pellegrini, quando gli avversari a un certo punto fanno tenerezza perché proprio non sanno dove sono capitati, quando l’Olimpico ruggisce e spinge la squadra alla rimonta e alla qualificazione agli ottavi di Europa League, respingendo l’assalto di un avversario ridisceso dalla Champions e cacciato via pure da qui, con le reti di Belotti e di Dybala sotto la Sud, invitati entrambi al ballo da uno Spinazzola tornato a splendere e a sprintare come ai tempi in cui era il più bravo d’Europa, come ieri.
Voleva giocarsela di qualità, questa l’intuizione di Mourinho che l’ha portato lungo tutta la lunga vigilia a tentare il recupero di Abraham, poi tenuto fuori insieme con la sua maschera da Terminator, Pellegrini e soprattutto Dybala, alla fine mandati in campo a spiegare agli avversari che il calcio è innanzitutto una questione di qualità, appunto. Perché poi vanno bene i progetti, funzionano le sinergie commerciali, aiutano i loghi aziendali che si fanno stemmi societari, e persino i tecnici sorridenti con dolcevita e cappottino in tinta più che in tuta infangata, ma poi conta come si tocca il pallone. E quelli della Roma sanno farlo meglio dei volenterosi campioni austriaci di Jaissle che, come dice Mourinho, quando giocano le partite di campionato possono permettersi di mandare mezza squadra alla Spa e presentare poi i titolare a cercare gli ottavi di Europa League.
E non bastano però, perché gli undici mandati in campo con la maglia rossa sono nella serata giusta. Anche se l’inizio gara qualche preoccupazione la desta, tra lo stadio versione deluxe, gli applausi ormai rituali ai ragazzi dei Fedayn che entrano in ritardo e senza ovviamente segni di riconoscimento, se non quelli dell’anima condivisa con il resto della curva, e la temperatura che è fredda ma non freddissima, e i 62593 appassionati spettatori si scaldano facilmente al momento della lettura delle formazioni. La preoccupazione iniziale è derivata soprattutto dal doppio giallo rimediato nello spazio di un minuto da Ibañez e Pellegrini, il primo per aver tirato giù Adamu su un lancio che aveva comunque scavalcato tutti e due, il capitano per aver troppe volte chiesto al glaciale sloveno Vincic di far retrocedere il pallone dal punto di battuta in cui era stato sistemato, da cui comunque Kjaergaard ha poi colpito la barriera. La lettura delle formazioni non aveva sorpreso i romanisti, con Zalewski schierato a destra (un po’ timido inizialmente) e Spinazzola col turno a sinistra, e Belotti a completare il tridente con Pellegrini e Dybala, e il maestoso Matic con Cristante; semmai ha sorpreso gli austriaci quella di Jaissle per l’esclusione del trequartista titolare Sucic, a vantaggio del più concreto Kjaergaard, una mezzala che piace a Pinto, che però ieri non ha fatto niente per farsi particolarmente apprezzare, e ha lasciato poi posto all’intervallo all’altro.
Dybala ha infiammato l’Olimpico già all’8’, con una difficile coordinazione dopo calcio d’angolo a rimandare la palla verso la porta, con Köhn sorpreso tanto da respingergliela sulla testa, con Paulino abile a riprovarci addirittura a pallonetto, e quasi a riuscirci, con la traversa a negargli il gol. Ibañez è sembrato a lungo il meno concentrato tra i tre difensori, sua una deviazione inutile al 13’ su un tiro non irresistibile di Capaldo che ha fatto impennare la traiettoria e invitato Kjaergaard alla coordinazione per tirare al volo dentro l’area, con carambola terminata fuori.
È finito così il riscaldamento del motore della Roma che da questo momento in poi ha alzato i giri fino ad imprimere alla partita la svolta necessaria. Pressioni alte, spirito aggressivo, riconquista immediata del pallone, giropalla veloce e rapide uscite sugli esterni: una formula semplice rimandata a memoria che ha portato in poco tempo la squadra a costruire mattone dopo mattone la vittoria necessaria. Al 23’ ha provato Zalewski lo sfondamento a destra, al 28’ ha tentato di destro Dybala, subito dopo ancora l’argentino stavolta col sinistro, ma un’altra deviazione ha spostato la traiettoria dalla soluzione cercata, poi è stato il turno di Pellegrini che si è accentrato col destro e ha cercato l’angolo più scoperto, costringendo Köhn al tuffo risolutore. Il gol sembrava nell’aria, col Salisburgo incapace di alzarsi sul prato, costretto a poco a poco a chiudersi in difesa, con la qualità dei giallorossi a rendere più grandi spazi inizialmente angusti, fino a trovare sfogo due volte in sei minuti con le stesse modalità, sempre con l’allungo di Spinazzola, sempre a sinistra, prima da solo e poi invitato da Pellegrini, con due assist al bacio mandati in area, deviato il primo, diretto il secondo, entrambi puntuali all’appuntamento col killer in area: prima è stato Belotti ad infiammare la Sud, buttandosi nel fuoco di quella palla da domare e spingendola in porta, tra le vane proteste degli austriaci che hanno sperato in un tocco di mano che non c’è stato, poi Dybala, meno irruento e più tecnico, pulito come il suo sinistro magico, palla nel sacco e 2-0 al 39’. Pubblico in delirio, volume al massimo, gioia incontenibile: serviva il 2-0 a rimontare l’ingiusto 0-1 dell’andata e con largo anticipo si era già concretizzato sul prato verde. E ora?
Ora è diventata la partita di Mourinho, uno che sa sempre come fare e quando farlo, e perché, e dove. Sono le sue partite e lui le dirige da bordo campo senza sbagliare mai una mossa. A fine partita ringrazierà il suo staff per il lavoro preciso di preparazione alla partita. Ma questo Salisburgo in realtà è leggibilissimo e, forse, semplicemente, non è una squadra per questi livelli di calcio. La mossa tentata da Jaissle ad inizio ripresa è stata Sucic, il trequartista che forse non vale Volpato e che si distinguerà in tutta la ripresa solo per un tiro decisamente sballato. Un po’ poco per spaventare la Roma: dei 15 tiri tentati in totale dagli austriaci solo 3 arriveranno nello specchio, niente di preoccupante per Rui Patricio. Forse l’unico vero pericolo corso in tutta la gara resterà un tiro scagliato dal difensore Solet al minuto 95, l’ultimo giocato, terminato peraltro fuori dai pali. Per arrivare fino a lì senza rischiare mai, la Roma ha giocato la sua solita partita che definiremmo di “contenimento attivo”: succede quando va solo difeso il risultato evitando di correre rischi inutili, quindi si lascia il possesso e qualche metro di campo, ma non si permette agli avversari di entrare in area se non con qualche traversone da lontano controllabile dai difensori o dal portiere.
E se serve e quando c’è spazio si portano le transizioni fino in fondo, come al 3’ con un rapido cambio di gioco a servire Zalewski e poi in verticale Pellegrini, contrato in angolo: otto ne batterà la Roma, nessuno il Salisburgo, e anche questo è un dato indicativo. Al 15’ arriva una botta terrificante di Cristante a tenere sveglio Köhn, al 17’ è Spinazzola a regalare un altro assist stavolta a Pellegrini troppo generoso a cercare un’ulteriore linea di passaggio invece di tirare. Poi arrivano tutti i cambi, che non cambiano nulla della partita: è anzi la Roma a trarre i maggiori vantaggi dagli ingressi di Wijnaldum, Karsdorp, Abraham ed El Shaarawy per Pellegrini, Zalewski, Capaldo e Belotti: «ElSha l’ho sacrificato in panchina, era il mio piano B». Ma quasi sempre a Mou è sufficiente elaborare il piano A.
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