Iniezione Red Bull. Ma i tifosi storici non l’hanno bevuta
L’acquisto da parte della nota azienda ha stravolto la tradizione degli austriaci e molti supporters austriaci si sono allontanati dalla loro squadra
Secondo qualcuno è stato come vendere la propria anima per evitare il tracollo finanziario: l’acquisto del club - all’epoca noto come Austria Salisburgo - da parte del colosso Red Bull non andò giù a un gran numero di tifosi. In primis per il cambio di denominazione, che per motivi di brand aggiungeva appunto il celebre Toro Rosso dell’energy drink, ma anche per la rinuncia agli storici colori sociali: al posto del bianco-viola, spazio al bianco-rosso, con tanto di stemma adattato al logo della nota marca.
Tutto ciò accadeva nell’aprile del 2005 e, nonostante l’acquisto salvò la società da un probabile fallimento, i sostenitori più affezionati si sentirono per certi versi “colonizzati”, costretti a rinunciare a un’identità e a tradizioni ormai consolidate in virtù di una maggiore stabilità economica. Per manifestare il proprio dissenso, una frangia piuttosto consistente di tifosi storici del Salisburgo si oppose allo stravolgimento, dando vita a un vero e proprio movimento (sostenuto anche da altre tifoserie in giro per l’Europa) che chiedeva il riconoscimento di almeno una parte della tradizione. Il 15 settembre 2005 avvenne la rottura definitiva, che portò alla contrapposizione di due fazioni: quella dei “biancorossi”, pronti a sostenere il neonato Red Bull Salisburgo, e quella dei “biancoviola”, legati alla storia del club fondato nel 1933 come Sportverein Austria Salzburg. Questi ultimi crearono un nuovo club, con la denominazione originale, che attualmente milita in Regionalliga, la loro terza divisione.
I successi
Dopo aver trascorso sessant’anni senza festeggiare neppure un titolo, il Salisburgo visse un periodo d’oro tra il 1993 e il 1997, durante il quale vinse tre campionati e tre supercoppe austriache. Nel ’94 arrivò anche il miglior piazzamento in Europa, con la finale di Coppa UEFA persa contro l’Inter di Bergomi, Jonk e Bergkamp. La maggior parte dei successi, però, sono arrivati dopo il passaggio alla Red Bull: altri 13 campionati (nell’arco di 17 stagioni) e 9 Coppe d’Austria hanno portato la squadra di Salisburgo ad essere oggi il terzo club più titolato in patria dopo Austria Vienna e Rapid Vienna. Tutto ciò è stato possibile grazie alla perfetta pianificazione del lavoro, che ha reso famoso il “Toro Rosso” in ambito calcistico: il Salisburgo è stata la prima creatura della compagnia, che in seguito si è espansa in Germania (Lipsia) e Stati Uniti (New York) e che già stava dominando in Formula Uno.
Analisi dei dati maniacale, con relativo scouting nei campionati meno noti, una particolare attenzione alle plusvalenze e i risultati raggiunti sul campo hanno permesso al Salisburgo di diventare la squadra più importante in Austria e una presenza fissa in ambito europeo (nel 2017-18 è arrivato in semifinale di Europa League). Tutto questo - per i romantici - ha avuto un prezzo: la rinuncia alla tradizione e, di conseguenza, alla propria identità storica, sacrificate sull’altare del successo sportivo e del guadagno.
Quel che è certo è che, negli ultimi anni, il Red Bull Salisburgo ha rappresentato un trampolino di lancio per molti nomi ben noti, sia tra i calciatori, sia tra gli allenatori, che spesso sono approdati successivamente ai “gemelli” del Lipsia: è il caso del tecnico Marco Rose, che la Roma ha affrontato in Europa League quando guidava il Borussia Moenchengladbach, o di Erling Haaland, che si è fatto largo a suon di gol dall’Austria fino al Manchester City. E poi Mané, Upamecano, Minamino, Szoboszlai: occhio ai prossimi talenti, perché potrebbero essere in campo contro la Roma. A Mou e ai suoi ragazzi il compito di fermarli.
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