Nicolò story e quegli orizzonti di gloria raggiunti soltanto a Tirana
Arrivato da sconosciuto nel 2018. Un cammino fatto di ascese, cadute, un gol storico e la rottura finale con il club che lo ha valorizzato e fatto diventare uomo
Eduardo Galeano, grande amante del calcio e penna sublime, paragonava l’utopia all’orizzonte: tu fai un passo verso di lui, e quello si allontana di un passo; ne fai altri due, e quello si allontana di due passi. A cosa serve, allora, l’utopia? Semplice, dice Galeano: a continuare a camminare. Per certi versi Nicolò Zaniolo è stato proprio questo, per tutti i tifosi romanisti: un orizzonte (di gloria) intravisto più di una volta, ma raggiunto soltanto in una circostanza, il 25 maggio scorso con quella zampata a Tirana contro il Feyenoord, che ci ha portato a vincere di nuovo un trofeo europeo dopo sessantun anni. Nicolò è stato, negli ultimi quattro anni e mezzo, la nostra utopia: quella - secondo alcuni - di avere un nuovo Totti, perfetta proprio perché irrealizzabile, come tutte le utopie che si rispettino; l’utopia di avere il migliore talento del calcio italiano, se non fossero intervenuti i due gravissimi infortuni ai legamenti crociati che, nell’arco di otto mesi, l’hanno lasciato in ginocchio; l’utopia, mentre lui postava stories dei duri allenamenti di riabilitazione, che potesse tornare quello visto nel primo anno e mezzo a Roma: un diciannovenne sfrontato, che gioca senza paura tra Modric e Casemiro, alla prima da titolare al Santiago Bernabeu. Nico ci ha provato, a tornare quel talento lì, quello della doppietta in Champions League al Porto a nemmeno vent’anni (più giovane calciatore italiano a segnare due gol nella stessa partita in un ottavo della Coppa dalle grandi orecchie), ma il doppio crac ha inevitabilmente frenato gli entusiasmi e dato la stura ai rimpianti.
Quell’orizzonte di gloria l’abbiamo visto in quella cavalcata conclusa col gol in casa della Spal, il 22 luglio 2020; qualcuno disse che aveva completato la corsa cominciata sei mesi prima contro la Juve, e interrotta soltanto dalla rottura del crociato destro. Ma appena un mese e mezzo dopo quella magia a Ferrara, ad Amsterdam, arrivava un nuovo ko, stavolta al crociato sinistro: stagione finita ancor prima di cominciare. è stato lì, in quel momento, che Zaniolo ha avuto la prova di non trovarsi in una piazza qualunque: le manifestazioni d’amore incondizionato (l’amore è sempre incondizionato, altrimenti non è amore, ma calcolo interessato) ricevute dai tifosi giallorossi hanno rimarcato per l’ennesima volta la differenza tra i romanisti e il resto del mondo. Nicolò si è rialzato con le sue e con le loro forze: ha sudato e pianto, esultato nelle magiche notti contro il Bodø/Glimt e il Feyenoord; ha sentito i cori in suo onore lo scorso agosto, alla presentazione della squadra all’Olimpico. Prima ancora aveva baciato lo stemma giallorosso sulla maglia e giurato amore eterno («Quando sei della Roma, nessun’altra cosa conta», scriveva in un post Instagram del luglio 2021). Ma si sa: l’amore è eterno finché dura, come recita anche il titolo di un film di Carlo Verdone.
Quell’orizzonte è stato raggiunto il 25 maggio scorso, con quello stop e tiro di punta che ci ha portato nella storia; evidentemente era destino che, una volta trasformata in realtà quell’utopia, l’idillio finisse. Senza troppi rimpianti da parte nostra, perché chi preferisce qualsiasi altra cosa al mondo alla Roma non sarà mai rimpianto. Chissà se invece Nicolò, tra la Turchia e le sue altre eventuali destinazioni future, non rimpiangerà il giorno in cui ha deciso di dare un prezzo a quell’amore, trasformandolo in calcolo, quindi in fredde cifre, numeri da incasellare. Almeno il gol in finale di Conference - quello sì - resterà per sempre.
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