Roma-Bologna, la vittoria sofferta è ormai il nostro destino
La vittoria sofferta una costante ma Mourinho è la certezza Dybala è tornato Dybala, Pellegrini capitano, la sorpresa è l’Abraham “salvatore”
Il destino, si sa, può essere cinico e baro. Ma, delle volte, può essere anche peggio. Questo Roma-Bologna qualunque tifoso romanista lo stava attendendo da quel pareggio col Torino. E lo stava attendendo contando i giorni ed aspettando di mettersi alle spalle un Mondiale divertente che, però, ci ha fatto divertire poco, sentendolo come cosa d’altri. E, quindi, in questi due mesi, transitando per Lungotevere, lo sguardo cadeva spesso verso l’Olimpico, nell’attesa, sempre più impaziente, del 4 gennaio. Ma il destino, dicevo, può essere cinico, baro e pure peggio. E, quindi, chi vi scrive non solo si vedeva costretto, dopo questi quasi due mesi di attesa, in questo maledetto giorno feriale, a dover essere altrove, ma si vedeva costretto, per arrivare a quell’altrove, a salire su un aereo pieno di quegli altri, diretti, loro, a Lecce per vedere una partita priva, per noi tutti, davvero di qualunque interesse. Ovviamente, va da sé, l’appuntamento era comunque fissato alle 16.30, in una saletta di un albergo, riservata dalla sera prima, con televisore sintonizzato sull’Olimpico e platea composta esclusivamente da quattro romanisti. A ricomporre, a chilometri di distanza, uno spicchio di tribuna. Si sa, la lontananza – lo diceva Modugno – è come il vento: accende i fuochi grandi e spegne quelli piccoli. E, quindi, malgrado non fossero nemmeno le nove di mattina, si parlava solo di quello che sarebbe potuto essere: vedremo Dybala dall’inizio? E il norvegese? Difesa a tre o a quattro? Abraham tornerà quello che era? Le domande si rincorrevano. Ma quello che colpiva era la univocità nelle risposte. Non c’erano, difatti, dubbi. Qualunque fosse la formazione, qualunque lo schema, qualunque le scelte, la fiducia in Mou era totale. È in lui, difatti, che si ripongono, badate bene, non le speranze, ma le certezze. Ed è questa, nel nuovo anno (Dalla insegna) la vera novità: dopo nemmeno due mesi, quei dubbi che si erano fatti, via via, sempre più spazio, si sono diradati, lasciando spazio ad una fiducia, incondizionata, in José («Finché ci sarà Mourinho, la classifica la guarderemo sempre contando i punti che ci servono per guadagnare posizioni, e mai contando quelli che avremo perso»), ad indicare la differenza, per noi tifosi, tra Mou e chi l’ha preceduto.
Inizia la partita. Ed inizia che meglio non si può. Non solo per il gol, che arriva subito, quanto perché quel gol dà risposte a molte domande. È vero, difatti, che davanti si cercano e se la passano. È vero che Dybala, dopo due mesi, torna ed è di nuovo subito decisivo. È vero che la regola che chi subisce il fallo non deve tirare il rigore non vuole eccezioni. È vero che Pellegrini segna da vero capitano, facendo capire a tutti che quel pallone sarebbe finito in rete quando ancora non era nemmeno entrato nell’area del portiere. E, per qualche minuto, tutto questo dava la sensazione che potesse essere una vittoria facile e non l’ennesima vittoria in bilico fino all’ultimo. E, invece, no. Riviviamo la solita partita fatta di sofferenza. E la sintesi perfetta è, questa volta, in quel «Non c’è uomo più solo al mondo di colui che gioca punta nella Roma». Ed è vero. Perché Zaniolo, che pure fa, al solito, a spallate, rischia di segnare solo su uno svarione del Bologna ma, per il resto, sta sempre laggiù, solo contro tutti. E la situazione non cambia quando al suo posto entra Abraham, che, purtroppo, quei pochi palloni che gli arrivano tra i piedi non riesce mai ad addomesticarli come dovrebbe («Vuole fare troppo. Deve tornare a giocare semplice»).
E quando l’arbitro fischia la fine, non si sa se sia più la felicità per lo scampato pericolo («A sto punto Abraham mettemolo in difesa, sa fa’ i movimenti giusti …»), oppure la preoccupazione per quello che succede là dietro, dove, in cinque, giocano schiacciati a pochi metri da Rui Patricio («Non so se ti rendi conto che, con i terzini così schiacciati, dietro siamo in sei, e i cinque che stanno davanti devono giocare, tra di loro, sparpagliati in sessanta metri»). Ma, alla fine, quello che rimane sono i tre punti importantissimi, la fiducia, granitica, in Mourinho e la speranza che, più prima che poi, rientri Wijnaldum. In uno con la preoccupazione, però, che domenica si andrà a San Siro. E lì sarà, ci puoi scommettere, un’altra sofferenza lunga novanta minuti. E anche di più, considerando il recupero. Ma questo sembra ormai essere, ineluttabilmente, il nostro destino. E, adesso che siamo oramai a gennaio, possiamo serenamente dircelo. Senza mai dimenticare, però, che noi abbiamo Mou. Che non è poco. Ma tutto
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