Abraham da motivare, ma Mourinho è in grado di farlo
Lo scorso anno il centravanti inglese ha brillato ed è stato determinante. Lo Special One ha i mezzi per fargli ritrovare la cattiveria dopo un inizio “grigio”
La verità non è mai una sola: bianco o nero. Esiste anche il grigio. Che non è una via di fuga, né un accomodamento. Le verità sono tre. La verità per giudicare Tammy Abraham è grigia: in questo momento. La scorsa stagione era di un bianco accecante, oggi in troppo la vedono solo nera.
È grigia: ecco perché. Tammy, lo scorso anno, dopo un inizio difficile, si è scatenato. Aveva tutto: velocità, partecipazione continua alla manovra, rincorreva tutti gli avversari, era il primo a pressare l’azione avversaria dall’inizio, già davanti al portiere, classe, fiuto del gol. Un giocatore di un bianco veramente accecante. Attualmente (ed è vero) i tifosi giallorossi hanno “sposato” la frase di sempre: “pare er fratello”. E non si può negare. Tutto quello che riusciva, non riesce più. Il pallone sfugge come fosse un’anguilla, non riesce a controllare i suoi movimenti, non vince un dribbling, le gambe sono molli, la porta una sconosciuta. E nella vita come nella professione di ognuno di noi, questo è il momento più difficile. Non riuscire a riconoscersi. È tutto nero, buio. Questo è il momento, per chi volesse aiutarlo, di cercare nel grigio una spiegazione. Una gomma per cancellare e far tornare il foglio bianco. Quest’anno la squadra lo cerca (e non si può negare) come era abituata a farlo con Dzeko. Lancio per Edin, il suo controllo di testa o di petto, palla a terra, l’azione ricominciava con il fraseggio. E c’era Mkhitaryan, ex attaccante esterno, ex trequartista, perfino ex “falso nueve”. Un giocatore talmente forte nonostante la sua carta d’identità, che era stato inventato da Mourinho come centrale di centrocampo, davanti la difesa e pronto a impostare con palla a terra. Miki manca tanto a questa squadra. La Roma di oggi cerca Tammy come faceva un tempo con Dzeko. Mancini e Ibañez soprattutto. Lancio lungo e alto a cercare la sua spizzata di testa. No. È un gioco che non fa per l’inglesino. Lui ha una tecnica infinita, sa fare quello che sanno fare i grandi (e che noi ragazzini che giocavamo su un terrapieno definivamo il “palla c’è, palla nun c’è”): muovere il pallone con solo due tocchi, in meno di mezzo metro, ingannare il difensore e “dai e vai”. Si lanciava in velocità, palla nello spazio e andare. Andare a cercare e trovare la palla di ritorno e la porta. In tutto questo Josè-Mourinho-Special-One non ha grandi responsabilità. In questa Roma quello che sapeva fare Miki non c’è. Un Modric, Pirlo, o Pizarro, e non è solo questione di nomi, non è in “rosa”. Giocatori che prendano palla dal portiere, sappiano eludere il pressing del marcatore, girarsi e trovare davanti la metàcampo avversaria, avendo tre soluzioni: far partire l’azione sulle due fasce, o cercare spazi per vie centrali. Sta per tornare Georgino Wijnaldum: ma forse lui è più giocatore da “percussioni”, anche se fondamentale. A Tammy non manca la voglia di rincorrere l’avversario, fino alla sfinimento. Manca, in questo momento, la “cazzimma”: furbizia, cinismo e quel pizzico di “cattiveria” che fanno di un attaccante bravo e anche di più, un pericolo costante.
Non crediamo assolutamente (come sostengono alcuni) che la presenza di Dybala, lo abbia fatto sentire una “seconda scelta”, lo abbia messo in ombra. Paulo ha fatto cose immense con qualsiasi compagno, bravo o fuoriclasse. È grande e umile. Conclusione. Abbiamo l’unica persona che possa trasmettere abbia agonistica a Tammy. Lo Special, plurilaureato della motivazione.
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